giovedì 29 maggio 2014

COME CONOSCERE I NOSTRI EQUILIBRI ATTRAVERSO LA MISURAZIONE DELL'HRV

La frequenza cardiaca è definita come il numero medio di battiti cardiaci al minuto. Questo numero, considerato normale attorno ai 70 b/m (battiti per minuto), è solo un valore medio, perché il tempo che intercorre fra un battito cardiaco e l'altro, non è una costante, ma cambia in continuazione. 

La Heart Rate Variability (HRV) è una tecnica per misurare ed analizzare la naturale variabilità  della frequenza cardiaca,  in risposta a fattori quali il ritmo del respiro, gli stati emozionali, lo stato di ansia, stress, rabbia, rilassamento, pensieri, ma è anche, e questo ci importa di più, l’espressione del bilanciamento fra sistema simpatico e parasimpatico. 
Come tale sta assumendo una grande importanza in quanto da queste misure è possibile dedurre molte informazioni, per esempio si può  valutare il rischio di aritmie cardiache e di infarto, oltre al bilanciamento dell'attività' fra il sistema nervoso Simpatico e Parasimpatico. 

La HRV e' nata all'origine nell'ambito della CARDIOLOGIA, ma numerosi studi scientifici, negli ultimi anni, hanno mostrato la sua importanza come indicatore attendibile anche in altri ambiti applicativi riguardanti per es. la PSICOFISIOLOGIA, la PSICOLOGIA, la PSICHIATRIA, la PSICOTERAPIA, la MEDICINA FUNZIONALE, la MEDICINA DELLO SPORT e il numero di campi applicativi sta crescendo continuamente. Gli studi clinici pubblicati sulla HRV hanno infatti riguardato molti argomenti, anche fra loro apparentemente diversi, ma tutti riconducibili a alterazioni di equilibrio fra sistema simpatico e parasimpatico:

  • Ipnosi
  • Depressione
  • Ansia
  • Stress
  • Terapie psicologiche
  • Asma
  • Gravidanza
  • Diabete obesità
  • Ipertensione
  • Disturbi della permeabilità intestinale

Il fatto che la HRV sia correlata alla interazione fra il Sistema Nervoso Simpatico e Parasimpatico ci mette nelle condizione di poter dare una valutazione dell’attività dei due sistemi misurandola.
In particolare, il Sistema Nervoso Simpatico, quando viene attivato, produce una serie di effetti quali: accelerazione del battito cardiaco, dilatazione dei bronchi, aumento della pressione arteriosa, vasocostrizione periferica, dilatazione pupillare, aumento della sudorazione. I mediatori chimici di queste risposte vegetative sono la noradrenalina, l'adrenalina, la corticotropina, e diversi corticosteroidi. Il sistema Simpatico è la normale risposta dell'organismo a una situazione di allarme, lotta, stress.
Al contrario, il Sistema Nervoso Parasimpatico (chiamato anche Attività Vagale), quando viene attivato, produce un rallentamento del ritmo cardiaco, un aumento del tono muscolare bronchiale, dilatazione dei vasi sanguigni, diminuzione della pressione, rallentamento della respirazione, aumento del rilassamento muscolare, il respiro diventa più calmo e profondo, i genitali, mani e piedi diventano più caldi. Esso agisce attraverso un mediatore chimico: l'acetilcolina.

Il Sistema Parasimpatico rappresenta la normale risposta dell'organismo a una situazione di calma, riposo, tranquillità ed assenza di pericoli e stress. Il nostro corpo, in ogni momento, si trova in una situazione determinata dall'equilibrio o dalla predominanza di uno di questi due sistemi nervosi. 
La capacità dell'organismo di modificare il proprio bilanciamento verso l'uno o l'altro sistema, è molto importante ed è un meccanismo fondamentale che tende all'equilibrio dinamico dell'organismo sia dal punto di vista fisiologico che psicologico.
Da ciò la grande importanza di avere oggi uno strumento scientifico come la HRV in grado di valutare lo stato relativo del sistema nervoso Simpatico e Parasimpatico. 
 
COME VIENE MISURATA LA HRV
Il metodo standard è considerato quello dell’esecuzione di un Elettrocardiogramma prolungato, nel corso del quale viene effettuata una lettura delle variazioni di frequenza del battito cardiaco con la derivazione di indici numerici corrispondenti, poi riarrangiati da un sotware apposito.
Oppure, questo può essere fatto attraverso un sensore Fotopletismografico applicato ad un dito. Il sensore fotopletismografico funziona attraverso l'emissione e la captazione di luce infrarossa, che è assorbita dal sangue. Il sensore rileva le variazioni cicliche del tono pressorio nei capillari delle dita, che rappresentano fedelmente il battito cardiaco.
Dopo essere stati digitalizzati, i dati sono analizzati da un software molto complesso che provvede a calcolare la distanza esatta fra un battito cardiaco e l'altro (questa distanza viene espressa in millisecondi) ed in questo modo si può creare un diagramma che esprime la distanza R-R fra un battito e l'altro, in funzione del numero di battiti cardiaci. 



 
Il tracciato, detto Tacogramma, viene raccolto normalmente nell'arco di 4-5 minuti (cioè vengono conteggiati circa 300 battiti cardiaci in tutto).
A questo punto, il software esegue ulteriori analisi più complesse, attraverso operazioni chiamate "Resampling del tacogramma" poi segue la Trasformata di Fourier ed il calcolo dello Spettro di Potenza del tacogramma. 
 
Lo Spettro di Potenza rappresenta gli elementi di frequenza del tacogramma, e contiene le informazioni essenziali per arrivare finalmente alla stima del bilanciamento fra Simpatico e Parasimpatico. 

Il risultato finale sarà un diagramma indice dei rapporti di attività simpatico/parasimpatico, dai quali dedurre lo stato di salute e altre informazioni. 
Tutto questo in Medicina Funzionale rappresenta un ulteriore strumento di valutazione degli equilibri, all'interno del nostro organismo, e per funzioni che sono vitali per un funzionamento ottimale, per rallentare i processi di invecchiamento, per risolvere patologie anche importanti e anche per ritrovare quegli equilibri che sono l'obiettivo primario in un percorso di vita in salute.

martedì 27 maggio 2014

I BATTERI PRESENTI NELLA SALIVA POSSONO CONTRIBUIRE A UNA DIAGNOSI PRECOCE DI CANCRO PANCREATICO

As presented at the 114th General Meeting of the American Society for Microbiology 2014
I pazienti con cancro pancreatico hanno un profilo diverso e distinto di batteri specifici nella loro saliva rispetto ai controlli sani, e persino dai pazienti con altri tumori o malattie pancreatiche, secondo la ricerca presentata al congresso ASM, tenutosi questo maggio a Boston. 

"I nostri studi suggeriscono che i rapporti fra particolari tipi di batteri presenti nella saliva possono essere indicativi di tumore al pancreas," dice Pedro Torres, MD, della San Diego State University, che ha presentato la ricerca. Purtroppo, nel cancro del pancreas, i sintomi compaiono quasi sempre dopo che il cancro è diventato incurabile, e questo nella stragrande maggioranza dei casi. E' così veramente importante comprendere come lo studio del microbiota presente nella saliva possa diventare un utile sussidio diagnostico.

Nello studio, Torres e i suoi colleghi hanno valutato la diversità dei batteri presenti nella saliva in 131 pazienti, 68 maschi e 63 femmine, trattati presso l'Università di California, San Diego's Moores Cancer Center. In questi pazienti, a 14 era stato diagnosticato un cancro pancreatico, 13 malattia pancreatica, 22   altre forme di cancro e 10 erano esenti da malattia. I risultati hanno mostrato che i pazienti diagnosticati con cancro pancreatico avevano livelli più elevati di due particolari batteri orali, Leptotrichia e Campylobacter, rispetto a qualsiasi altra condizione esaminata, che si trattasse di soggetti sani o malati, comprendendo altri cancri e altre malattie pancreatiche non-cancerose. Quelli con cancro pancreatico presentavano anche livelli più bassi di Streptococco, Treponema e Veillonella. 
"I nostri risultati suggeriscono la presenza di un profilo microbico costantemente distinto per il cancro al pancreas," dice Torres.  "Potremmo essere in grado di rilevare il cancro del pancreas in fase iniziale prendendo la saliva degli individui e guardando i rapporti di questi batteri".

Questo studio è importante perché ci conferma come lo studio delle popolazioni batteriche presenti, e dei loro metaboliti (metaboloma), diventerà presto uno strumento validissimo di riconoscimento di malattia potenziale e ci consentirà non solo una diagnosi precoce, ma anche la messa in atto di misure atte a prevenire che la malattia si sviluppi.


mercoledì 21 maggio 2014

POSSIAMO MISURARE IL NOSTRO BENESSERE?

Ci sono molti metodi per misurare il nostro benessere, che ovviamente rappresenta una summa complessa derivante da più fattori. In una civiltà come la nostra, rappresentata peraltro da una alimentazione eccessiva quantitativamente, e troppo ricca di carboidrati, una delle priorità è valutare se possiamo trovarci in una situazione di insulino-resistenza.
Per insulino-resistenza si intende una bassa sensibilità delle cellule all’azione dell’insulina. L’insulino-resistenza è una risposta cellulare a un eccesso di zuccheri nell’alimentazione e alla conseguente secrezione elevata di insulina ed è spesso il primo passo verso l’insorgenza di diabete mellito di tipo II e di tutte le patologie ad esso correlate. Questa condizione può avere una base genetica, ma molto spesso è influenzata soprattutto da fattori acquisiti e/o ambientali quali eccesso ponderale, grasso addominale, dieta iperlipidica, scarsa attività fisica, fumo di sigaretta e alcuni farmaci.
Le patologie associate a alimentazione non corretta e/o troppo generosa di zuccheri e carboidrati sono in continuo aumento. Non a caso si definiscono “patologie del benessere”, messe in evidenza dalle curve che dimostrano l’andamento delle stesse nel corso degli anni: in continuo aumento dai primi del novecento, ma con una drastica caduta durante le due guerre mondiali, quando la popolazione non trovava con facilità neppure i primi generi di necessità. Questo è quindi dovuto al fatto che abbiamo a disposizione molto più cibo, e soprattutto cibo spazzatura, rispetto a quello di cui effettivamente necessitiamo per il nostro fabbisogno giornaliero.
Merendine pre-confezionate, torte, dolci, zucchero raffinato, bibite zuccherate, ma anche eccesso di cereali raffinati, e potremmo continuare ancora, sono tutte concause dell’insorgenza di patologie croniche come diabete, obesità e sovrappeso, invecchiamento precoce e aumento del rischio cardiovascolare.

Ecco perché è così importante monitorare i livelli di glicemia e insulinemia, le principali protagoniste della glicazione.

La glicazione è quel processo non enzimatico che comporta il legame del glucosio a proteine e lipidi presenti nel circolo ematico. Se non controllato e se alterato nel tempo, questo processo attacca anche proteine di organi e tessuti periferici provocando danni a tutte le cellule. La glicazione può essere aumentata come conseguenza di un cattivo metabolismo del glucosio e dei lipidi, causato spesso da un’alimentazione sregolata ed eccessiva. Il risultato finale è l’amplificazione dello stress ossidativo, poiché questi composti, ovvero lipidi e proteine glicosilati, denominati anche AGEs (Prodotti Avanzati della Glicazione), sono metabolizzati più difficilmente e più lentamente e generano una maggior quantità di radicali liberi.

Vediamo insieme l’importanza di questi parametri:

Glicemia
Valore della concentrazione di glucosio nel sangue. La percentuale di accumulo di AGEs e le alterazioni tissutali da essi prodotte sono proporzionali al tasso di glucosio ematico e alla frequenza con cui questo valore alterato persiste. A loro volta, le variazioni glicemiche dipendono da svariati fattori, tra cui l'alimentazione costituisce di gran lunga quello più importante, mentre il secondo fattore, altrettanto rilevante, è rappresentato dall’esercizio fisico.
Un regime alimentare equilibrato è un'arma fondamentale nella prevenzione e/o nella cura dell’iperglicemia. Inoltre, la pratica di attività fisica regolare e sufficientemente intensa abbassa la glicemia. Se si aggiunge l’utilizzo di integratori anti-glicanti, allora l’effetto benefico sarà amplificato in modo sinergico.

Insulinemia
Misura la quantità di insulina presente nel circolo ematico. Questo ormone favorisce l'ingresso del glucosio nelle cellule. I grassi e le fibre alimentari si oppongono ad eccessivi rialzi dell'insulinemia rallentando i tempi di digestione del pasto e l’assorbimento intestinale degli zuccheri. Se ci troviamo in presenza di valori costantemente elevati di glucosio nel sangue, questi provocano la desensibilizzazione dei recettori del glucosio e dell’insulina alimentando un circolo vizioso. In questo modo il livello di glucosio nel sangue rimarrà sempre elevato, e l’insulina sarà ad una concentrazione sempre maggiore per sopperire alla presenza di glucosio.
La relazione tra glicemia ed insulinemia ha portato all’elaborazione dell’indice HOMA (Homeostasis Model Assessment), in grado di valutare la resistenza insulinica e quindi il rischio di incorrere in diabete mellito di tipo II e nella malattia metabolica.
L’HOMA è un semplice calcolo basato sulla misurazione plasmatica d’insulinemia e glicemia a digiuno. Uno studio italiano (Importanza dell’indice HOMA nella valutazione dell’insulino-resistenza) mette in evidenza l’importanza di questo calcolo nella pratica clinica come indice di riferimento per individuare soggetti a rischio di patologie metaboliche. Esiste infatti una forte correlazione tra obesità e sedentarietà e il rischio di sviluppare queste patologie.

Alcuni semplici consigli per diminuire la concentrazione di questi due parametri sono:
   condurre una vita sana, prestando attenzione allo stress a cui il corpo viene sottoposto quotidianamente;
   seguire un’alimentazione equilibrata e consumare cibi salutari, con buona scelta dei grassi e possibilmente non pre-confezionati o precotti;
   integrare con importanti sostanze (vitamine, minerali e altri elementi) grazie ad integratori anti-glicanti, allo scopo di ridurre i livelli di glicazione cellulari;
   effettuare una regolare attività fisica per ridurre il grasso corporeo in eccesso.
   leggere il mio blog precedente riferito alla “diabesity”