Quando il mondo accettò che la terra non era piatta,
si verificò uno sconvolgente cambiamento di paradigma! Ciò aprì la strada a
nuove linee di pensiero e a incredibili avventure da sognare e realizzare.
Un simile rovesciamento di paradigma si è
verificato all’interno della conoscenza medica e al sistema di cura con il
riconoscimento della Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS), ovvero
dell’esistenza di ipersensibilità al glutine, e che questa è almeno sei volte1,
ma probabilmente 20 volte2, più frequente della Malattia Celiaca (se
i dati riferiti alla sanità italiana sono corretti, e si parla di 130.000
celiaci in Italia, vorrebbe dire che la popolazione affetta da NCGS potrebbero variare
fra i 700 mila e i 2 milioni e 600 mila).
La domanda che ci si pone è se il mondo dei
disturbi associati al glutine possa essere differenziato e come. Questa domanda è
preliminare a una discussione critica, infatti, va considerato se una reazione
IgE debba essere trattata allo stesso modo di una reazione IgA. E, anche se
forse i protocolli sono molto simili, se l’enfasi che si deve porre
nell’approccio a queste problematiche debba essere differente.
Le quattro categorie che oggi sono riconosciute di
risposta al glutine come agente offensivo sono:
- Allergia (IgE mediata)
- Ipersensibilità al glutine (NCGS)
- Malattia Celiaca
- Sindrome da malassorbimento non-immune
Vediamo ora di cercare di definirle meglio.
La prima, la più antica in termini di tempo a essere
identificata nella letteratura medica è
un’allergia, un’allergia al frumento.
Questa è una reazione IgE. E i test sono disponibili dagli anni ’50. Se
ricordate, il prick-test (i ponfi sottocutanei) utilizzato ancor oggi e l’esame
del sangue (IgE specifiche), sono nati circa in quegli anni. E ogni altro tipo
di risposta immunoglobulinica non può essere chiamata allergia, perché quando fu
identificata la prima risposta immune, appunto IgE-mediata, fu coniato il termine
di allergia. Per questo si può parlare di allergia al glutine solo se c’è una risposta
IgE, mentre tutto il resto sono patologie glutine-correlate3-6.
La seconda è una risposta immunitaria non-IgE. E
potrebbe essere IgA, IgG o IgM. Facciamo una metafora, con le forze armate, e
questo esempio potrebbe servire a spiegare la situazione ai nostri pazienti.
"Il sistema immunitario è come le forze armate. È lì per proteggerti. Hai un esercito, un'aeronautica, marina, guardia
costiera. IgA, IgG, IgE, IgM.
Così la seconda categoria è rappresentata dalla risposta immunitaria non-IgE. Oggi si discute molto nella
letteratura riguardo questa categoria. Questo include il mondo degli
ipersensibili al glutine (NCGS = Non Celiac Gluten Sensitivity)7.
La terza categoria è la malattia celiaca, unica e a modo suo a sé stante. Valuteremo la
confusione in fase di test per la celiachia, perché abbiamo un enigma con i
test da affrontare.
La quarta categoria è una sindrome da malassorbimento non immune.
Così, ci sono quattro diverse categorie di disturbi
correlati al glutine, che abbiamo la necessità di differenziare una volta che
ne abbiamo il sospetto, o che il paziente riferisce dei sintomi che sono
correlati all’assunzione di glutine.
Perché è importante la nomenclatura? Perché
consente di seguire il percorso della risposta clinica e terapeutica e di scegliere
che protocolli si potrebbero prendere in considerazione. Non si deve trattare
una reazione IgA come se si trattasse di una reazione IgE. È davvero
utile utilizzare l'analogia con i diversi rami delle forze armate. Facciamo una
rapida rassegna. Le IgE stimolano una risposta istaminica che può essere in
grado di mettere in pericolo la vita, come le allergie agli arachidi, al
sesamo, ai crostacei e così via, provocando edema della glottide. IgA è una
risposta delle superfici epiteliali, principalmente dell’intestino e dei
polmoni. IgG è una risposta sistemica. E IgM è una prima risposta. E questo è importante conoscerlo perché molti dei test
disponibili valutano solo un ramo del sistema immunitario. In gran parte
valutano la risposta IgG. Alcuni soggetti potrebbero risultare negativi per una
reazione IgG e avere, ad esempio, una reazione IgA o IgM? A questa domanda la
risposta non può che essere una: assolutamente sì. È una realtà molto frequente,
che si riscontra clinicamente; ci sono soggetti che non presentano una reazione
IgG, o solo una risposta minima, mentre presentano una reazione IgA
sostanzialmente elevata. Così se ci si limita a
guardare la Marina, si può perdere di vista il fatto che l'Aeronautica è completamente
in crisi. Ecco perché non dovremmo mai trarre conclusioni interpretando
una singola immunoglobulina - IgG o IgA - come conclusiva. Se viene positiva, è
molto probabile che sia positiva. Ma se viene negativa e ci si limita a
considerare un singolo ramo, il sistema immunitario del paziente potrebbe
essere non-responsivo. O si potrebbe avere una vera e propria reazione con un
altro tipo d’immunoglobulina.
Parliamo ora dei test genetici e lasciamo
momentaneamente da parte la risposta immunitaria. È vero che è possibile
utilizzare la genetica per diagnosticare la malattia celiaca? Non c’è dubbio
che la risposta è no. È la vecchia scuola di pensiero,
basandosi su qualche pubblicazione scientifica, che sosteneva che i test
genetici possono essere un indicatore sufficiente per assumere che qualcuno soffre
di malattia celiaca. Questo avveniva perché molti studi hanno dimostrato che
fino al novantacinque per cento dei pazienti celiaci ha il gene HLA-DQ2. E
l’altro cinque per cento l’HLA-DQ8. In questo modo quasi il cento per cento
delle persone avrà uno dei due. Recentemente, a Chicago, al Simposio Internazionale sulla Celiachia,
nel giugno del 2013, è stato presentato uno studio che dimostrava che circa il
sette per cento dei celiaci - con esame istologico con totale atrofia dei villi
- non ha né uno né l’altro gene. E ora sappiamo che ci sono altri geni
coinvolti oltre a DQ2 e DQ8. Quindi, non
si può presupporre che DQ2 e DQ8 siano gli unici.
Qual è il punto cruciale?. Su
International Archives of Allergy and
Immunology nel 20107
è stato pubblicato - e da allora altri tre studi lo hanno confermato - che fino
al cinquanta per cento dei pazienti con ipersensibilità al glutine (NCGS)
presenta il gene HLA-DQ2 o DQ8. Fino al cinquanta per cento di chi non soffre
di malattia celiaca, è portatore del gene che abbiamo sempre ritenuto fosse il
gene celiaco. Per questo è molto probabile che in futuro, man mano che gli
studi progrediranno, noi non chiameremo più questi i geni celiaci, ma, forse, i
geni della suscettibilità al glutine. E oggi noi cominciamo a conoscere che ci
sono famiglie di geni associate con i disturbi riferibili al glutine, non
solo la malattia celiaca, ma con lo spettro dei disordini riferibili al
glutine. Questo è il motivo per cui, alla domanda se DQ2 e DQ8 facciano
diagnosi di malattia celiaca, noi oggi sappiamo che sicuramente la risposta è
no. La loro presenza suggerisce con ottima probabilità un disordine associato
al glutine, anche se non sappiamo quale possa essere questo disordine:
sicuramente non-IgE, giacché la celiachia è una risposta immune non-IgE.
Un altro punto è se i soggetti con ipersensibilità
al glutine (NCGS) potranno un giorno diventare celiaci. Non ci sono dati
sufficienti in letteratura per affermare questo. I soggetti con ipersensibilità
al glutine non presentano atrofia dei villi, nemmeno parziale. Non presentano
iperplasia delle cripte. Non presentano alcuno degli indicatori di malattia
celiaca. Possono avere un minimo aumento dei linfociti intraepiteliali (IEL),
un certo grado d’infiammazione, ma non nello spettro della celiachia e non
sappiamo se questo occorrerà mai. Per questo motivo è da ritenere che i
soggetti positivi al DQ2 o DQ8 (o entrambi) abbiano una vulnerabilità a
presentare un disordine associato al glutine, che potrà anche non verificarsi
mai. Come può accadere che un soggetto negativo a DQ2 e DQ8 abbia anticorpi
contro la gliadin-transglutamminasi, eseguendo test complessi come il Cyrex
Array 3 (che misura la Wheat/Gluten Proteome Reactivity & Autoimmunity e che comprende: Wheat (grano) IgG,
Wheat IgA, Wheat Germ (germe di grano)
Agglutinin IgG, Wheat Germ Agglutinin IgA, Native + Deamidated
Alpha-Gliadin-33-mer IgG, Native + Deamidated Alpha-Gliadin-33-mer IgA,
Alpha-Gliadin-17-mer IgG, Alpha-Gliadin-17-mer IgA, Gamma-Gliadin-15-mer IgG,
Gamma-Gliadin-15-mer IgA, Omega-Gliadin-17-mer IgG, Omega-Gliadin-17-mer IgA,
Glutenin-21-mer IgG,
Glutenin-21-mer IgA,
Gluteomorphin+Prodynorphin IgG,
Gluteomorphin+Prodynorphin IgA, Gliadin-Transglutaminase IgG,
Gliadin-Transglutaminase IgA,
Transglutaminase-2 IgG, Transglutaminase-2 IgA,
Transglutaminase-3 IgG,
Transglutaminase-3 IgA,
Transglutaminase-6 IgG,
Transglutaminase-6 IgA a un costo di circa 400€) e rientri quindi in quel 7 per
cento di negativi a DQ2 e DQ8 che abbiamo già detto (celiaci gene-negativi).
A chi fare quindi il test genetico?
La risposta più ragionevole è quando non si può eseguire un panel completo
degli anticorpi o in chi è immunodepresso o in terapia steroidea, per cui è
improbabile si ottengano risultati attendibili ricercando anticorpi IgG, IgA e
IgM. I portatori del gene hanno elevate probabilità di essere suscettibili a un
disordine glutine-correlato. Che si manifesti o no, questa vulnerabilità può
rappresentare un problema e l’unica domanda da porsi è: quanto sarà grave?
Inoltre, c’è una situazione nella quale il test genetico è di grande valore, ed
è nei famigliari dei pazienti celiaci e di quelli con ipersensibilità al
glutine, perché, se positivi, sono ad alto rischio di sviluppare un disordine
riferito al glutine.
Allora, chi dovrebbe essere
investigato per un disordine riferito al glutine? La risposta è: chiunque stia
male, qualunque sia il tipo di malessere, dovrebbe essere testato per un
disordine riferito al glutine, soprattutto quando le terapie che state praticando
non danno risultato, sia si tratti di sinusite ricorrente nonostante gli
antibiotici, o di spasmi muscolari al polpaccio, sia stiate curando un’epatite
o un’emicrania, o un deficit di attenzione. Forse un alimento che è presente
nella dieta di ogni giorno potrebbe contribuire all’infiammazione che è il
motivo per cui non si ottengono i risultati desiderati. Per questo la risposta
alla domanda è: chiunque non sia soddisfatto dei risultati ottenuti,
indipendentemente dai disturbi di origine.
Non seguire questa pratica comporta
ritardi nella diagnosi che sono consistenti: negli Stati Uniti si parla di
undici anni8,9 dopo la comparsa del primo sintomo e la prima visita
medica per una valutazione della situazione. Pensate a un paziente con
emicrania, all’inizio si prova con qualche terapia, poi, se non funziona, dopo qualche
mese si richiede una visita dal neurologo, lista di attesa, poi il neurologo
raccomanda altri farmaci, chiede una Risonanza Magnetica che sarà negativa, ma
cambia ancora farmaci, che magari risponderanno per una piccola parte, per cui
altri controlli, magari riferimento a un centro specializzato per le cefalee,
altri esami. Storia lunga. In uno studio eseguito alla Columbia University in
New York, centro specializzato per la ricerca neurologica, il 5 per cento dei
pazienti con causa nota del loro disordine neurologico aveva anticorpi
anti-gliadina elevati, ma questi lo erano nel 57 per cento dei casi in cui la
causa del disturbo neurologico non era stata chiarita. Una semplice dieta senza
glutine avrebbe risolto i loro problemi.
Quali accertamenti
eseguire allora nel sospetto di disturbi glutine-correlati?
Il test standard da
eseguire alla ricerca dell’ipersensibilità al glutine sono gli anticorpi
anti-gliadina. La gliadina è uno dei peptidi della farina di frumento
maldigerita. In realtà quindi non è un test per il glutine, ma per la gliadina
e quello che andiamo cercando è una ipersensibilità alla gliadina, uno dei
peptidi del frumento. Ma se facciamo il test per uno solo dei peptidi che
compongono il glutine, è possibile che manchiamo il bersaglio. Infatti, come
abbiamo un solo tipo d’impronta digitale, noi abbiamo anche un’unica impronta
immunitaria, per cui la risposta immune è differente da soggetto a soggetto. Se
si esegue un test come quello che ho appena segnalato, che si rivolge a
multipli peptidi delle proteine del glutine nel frumento, si osserveranno
risposte molto diverse da soggetto a soggetto: alcuni reagiranno a un solo
peptide, altri a un altro differente, altri a una gran parte. Perciò non è
sufficiente eseguire un test che abbia come bersaglio solo la gliadina, si
darebbero per normali troppi soggetti con ipersensibilità al glutine.
Quale altro test poi va
eseguito, standard, per la malattia celiaca?
Quello accettato di norma, è guardare agli
anticorpi per le transglutaminasi (anticorpi IgA) e cioè quelli per la
transglutaminasi 2. Ci sono nove differenti transglutaminasi e è la transglutaminasi
2 quella che si trova nell’intestino. È presente anche in altri organi, nel fegato,
nel rene, nel cuore e nella milza. È peraltro la sola che si trova nei
microvilli nell’intestino. Questo test è considerato il marker diagnostico per
la malattia celiaca. Molti studi hanno dimostrato essere veramente sensibile e
specifico in presenza di totale atrofia dei villi. Il problema è che i
ricercatori usano pazienti celiaci in questi studi, e per essere definito
celiaco devi avere un’atrofia totale dei villi. Non sono stati invece inclusi
in questi studi, che dimostrano sensibilità e specificità vicina al 100 per
cento, pazienti con atrofia parziale dei villi9. O iperplasia delle cripte. Altri studi, infatti,
evidenziano che, in presenza di atrofia parziale dei villi o uno stadio
istologico Marsh II, che corrisponde all’iperplasia delle cripte, ancora
assenza di atrofia dei villi, il test delle transglutamminasi può essere
accurato nel 27-33 per cento dei casi, il che significa che vi saranno falsi
negativi in sette casi su dieci. Questo significa che il test delle transglutaminasi
è positivo sicuramente solo in caso di malattia autoimmune avanzata.
E allora quali test fare
nel sospetto di malattia celiaca?
Vediamo: gli anticorpi anti-gliadina non
differenziano fra un paziente con malattia celiaca e con ipersensibilità al
glutine. Per esempio, nel Journal of
Clinical Gastroenterology12 nel 2012, è stato evidenziato che i pazienti con
malattia celiaca saranno positivi alle IgG anti-gliadina nell’81,2 per cento
dei casi, otto su dieci.
D’altro canto, i pazienti con ipersensibilità al
glutine (NCGS) lo saranno nel 56,4 per cento dei casi; in questo modo, con un
test positivo, non sarà possibile differenziare. Quello che ne possiamo
ricavare è che è un buon marker di un disordine riferibile al glutine, ma non
ci aiuta nella diagnosi differenziale. Anche questo, peraltro è molto
importante! Se invece risulta negativo significa che non è così probabile che
il sistema immunitario reagisca alla gliadina. Per tornate alla metafora
precedente, questa però è solo la Marina. Deve venire fuori l’Aviazione e
questa è rappresentata dalle IgA, in questo modo è possibile ottenere una
risposta differente. Per esempio, le IgA anti-gliadina sono un buon marker per
la malattia celiaca in quanto risulteranno positive solo nel 7,7 per cento dei
casi, meno di uno su dieci. in caso d’ipersensibilità al glutine.
Se invece siete celiaci,
le IgA (anticorpi anti-gliadina) saranno positive nel 75 per cento dei casi,
7,5 volte su dieci, ed è improbabile si tratti d’ipersensibilità al glutine. Purtroppo,
se le IgA fossero negative, non potete sapere cosa stia succedendo, trattandosi
solo di un ramo dell’albero decisionale.
Un marcatore migliore per
differenziare fra malattia celiaca e NCGS sono le gliadine deamidate. La
molecola di gliadina deve passare dal lume dell’intestino, attraverso una
mucosa permeabile, nella sottomucosa, dove il sistema immunitario crea la
deamidazione e produce anticorpi contro questa molecola. Se avete anticorpi
contro la gliadina deamidata, nell’1,3 per cento dei casi si tratta di NCGS
(ipersensibilità al glutine), il che vuol dire in sostanza nessuno, ma, alla
presenza di questi anticorpi, l’88,7 per cento dei casi sono affetti da
malattia celiaca. Così è veramente un buon biomarker, non solo per
differenziare fra NCGS e malattia celiaca, ma per fare diagnosi di malattia
celiaca, anche se si tratta già di uno stadio avanzato, Marsh III, come risulta
dall’articolo pubblicato su Journal of
Clinical Gastroenterology.
La transglutaminasi
[IgA-transglutaminasi] è positiva nella NGCS nello zero per cento dei casi, mentre
è positiva nel 98,7 per cento dei casi di malattia celiaca; così è un ottimo
marker, ma solo in caso di atrofia totale dei villi. Per questo motivo, se è
negativa, non significa che non ci troviamo alla presenza di malattia celiaca,
diagnosi ancora possibile perché ci si potrebbe trovare in situazioni di
lesioni Marsh I o II che sono gli stadi precoci. Sembra un po’ confondente
tutta questa storia, ma è quanto di meglio si possa dire, a questo punto delle
conoscenze, utilizzando i test che sono disponibili in qualsiasi parte del
mondo e non test più complicati come il Cyrex
Array 3, citato in precedenza.
Per riassumere, nei disordini riferibili al glutine
o nel sospetto di questa patologia, prima vanno eseguiti gli anticorpi
anti-gliadina, non importa se IgA o IgG. Se positivi è un disordine riferibile
al glutine. Si può differenziare fra malattia celiaca e ipersensibilità al
glutine con gli anticorpi anti-gliadina deamidati. Con gli anticorpi
anti-gliadina si può far altro: sono IgA? Siamo da qualche parte nello spettro
della malattia celiaca (le IgA sono prodotte per proteggere le superfici
epiteliali e sono queste che provocano l’atrofia dei villi, perché l’epitelio
diventa infiammato e viene attaccato cominciando a deteriorarsi). Sono IgG? È
un disordine riferibile al glutine, non si può dire quale, potrebbe essere
malattia celiaca, ma anche no.
Se le transglutaminasi sono positive è malattia
celiaca, ma ricordate che ci sono almeno sei cause di elevate transglutaminasi,
anche se la malattia celiaca è prevalente.
Se è positiva la gliadina deamidata si tratta di
malattia celiaca, in quanto la deamidazione della gliadina è stata identificata solo nei meccanismi che
generano la malattia celiaca.
Ci sono quindi tre test direttamente associati con
la malattia celiaca vera e propria: sono i test classici, le transglutaminasi,
le gliadine deamidate e le IgA anti-gliadina. Gli anticorpi IgG anti-gliadina
indicano malattia celiaca o disordini associati al glutine. Questo è il meglio
che possiamo fare con i test standard che possono essere eseguiti ovunque nel
mondo.
C’è un’ultima cosa che possiamo fare se ci
occupiamo di Medicina Funzionale, è domandarsi perché tutto ciò avvenga, perché
una proteina non venga digerita come si deve non risultando così più
immunogena; perché una mucosa intestinale, che dovrebbe funzionare da barriera
riesca invece a lasciar passare peptidi o frammenti peptidici estranei
all’organismo, mettendoli a contatto con il sistema immunitario.
Sono questi i veri problemi per spiegare la
differenza fra la malattia celiaca dell’infante (l’unica vera), quella dell’adulto
(perché una malattia genetica si esprime a scoppio ritardato?), l’ipersensibilità
al glutine e tutte le reazioni avverse al glutine. Ne riparleremo.
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