giovedì 19 settembre 2013

IL SISTEMA PIU' IMPORTANTE: L'APPARATO DIGERENTE (parte prima)

Nell’ontogenesi (“L’insieme degli stadi di sviluppo attraverso i quali un organismo passa dallo stato iniziale di ovocellula o di germe a quello di individuo completo” Bini-Coletti) del nostro essere esseri umani, dalla prima cellula primordiale, dall’alga blu, a costruire un intero corpo umano nell’evoluzione della specie, l’apparato digerente, quando si è sviluppato per la prima volta, ha rappresentato lo strumento indispensabile e necessario per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo di tutto l’organismo, ricavando dal mondo esterno le sostanze necessarie, filtrandole e rendendole adatte alla vita di tutti gli altri organi, di tutte le cellule dell’organismo cui apparteneva.
Per testimoniare questa “importanza”, basti dire che la prima cellula nervosa, comparsa in un essere vivente, non ha trovato posto in quello che noi chiamiamo “cervello”, ma attaccata all’apparato digerente: il primo computer per controllare l’efficienza del sistema era collocato nell’organo più importante, senza il quale la sopravvivenza non era garantita!
La rivoluzionaria scoperta del cervello addominale comporta alcune conoscenze fondamentali: domina il “collega” più nobile.
Ci accorgiamo solo del cervello nella testa perché è sede della coscienza, ma – come si usa dire – a decidere è spesso la pancia, o meglio, i centri nervosi lì appena scoperti.
La strada del cibo dallo stomaco all’ano è lunga: prima 30 cm di duodeno, poi 5 metri d’intestino tenue, infine 1,5 m di intestino crasso.

Per dirigere, fenomeno che non è soltanto chimico, ma anche motorio, cioè condizionato dai movimenti dell’apparato digerente, dalle 4 fasi della peristalsi, serve un secondo cervello (o meglio, il primo se ci atteniamo alla storia).

Il cervello (della testa) invia poche informazioni al sistema nervoso intestinale che è in gran parte indipendente. Il 90% delle informazioni va dal basso verso l’alto, dall’addome al cervello. Nella parete intestinale si nascondono due strati sottilissimi di un sistema nervoso complesso, il secondo per grandezza dopo quello della testa. Questi strati avvolgono il tratto digerente come una calza a rete. In questo modo possono coordinare i movimenti del “riflesso peristaltico” che fa avanzare il cibo nell’intestino. II meccanismo può essere riassunto così:
i neuroni nella parete intestinale sentono dove si trova un boccone di cibo (bolo) perché vengono stiracchiati dalla massa in transito. In seguito a questa “percezione”, le cellule enterocromaffini secernono serotonina, proteina che stimola le cellule nervose nel plesso sottomucoso. Queste, a loro volta, inviano segnali alle cellule muscolari che si attivano, dilatando e contraendo l’intestino.

Se il riflesso peristaltico viene inibito, per esempio per poca serotonina, si ha la stitichezza, al contrario un’eccessiva stimolazione dovuta a troppa serotonina, provoca diarrea.
II cervello addominale ha anche il compito di passare informazioni alla testa. In parte si tratta di segnali evidenti, come il vomito in caso di avvelenamento.

Molti altri messaggi sarebbero spontanei, legati alle emozioni, e impercepibili alla coscienza: inconsci.
In tutte le culture, nei modi di dire, nel senso comune, la pancia è tradizionalmente la sede principale (più del cervello) dei sentimenti e delle emozioni.

Fino a oggi per gli scienziati era un semplice tubo governato da riflessi; e per la maggior parte dei cittadini del mondo occidentale solo la parte più prosaica, viscida e rumorosa del corpo umano. Finché a qualcuno non è venuto in mente di contare le fibre nervose dell’intestino. E ha così scoperto che i modi di dire si basavano su una realtà scientifica: nella pancia c’è un secondo cervello, quasi una copia di quello che abbiamo nella testa. Non serve solo alla digestione. Come il cervello della testa anche quello addominale produce sostanze psicoattive che influenzano gli stati d’animo, come la serotonina, la dopamina, ma anche oppiacei antidolorifici e persino benzodiazepine, sostanze calmanti come il valium.

Anche il collega “di sotto” soffre di stress e nevrosi Il cervello addominale, insomma, lavora in modo autonomo e invia più segnali al cervello “nella testa” di quanti non riceva da esso. Aiuta a fissare i ricordi legati alle emozioni. Può ammalarsi, soffrire di stress e sviluppare proprie nevrosi. Prova sensazioni pensa e ricorda. E aiuta a prendere decisioni. Che bisogno c’era di due cervelli? “Nella scatola cranica tutto non ci stava” spiega Michael Schemann, docente di fisiologia alla facoltà di veterinaria di Hannover (Germania). “Per far passare i collegamenti col resto del corpo, il collo avrebbe dovuto avere un diametro enorme…e poi, appena dopo la nascita, il neonato deve mangiare, bere e digerire: meglio che queste funzioni fondamentali siano autonome”.

Durante la formazione dell’embrione, quindi, una parte delle cellule nervose viene inglobata nella testa, un’altra va nell’addome: i collegamenti fra i due sono tenuti dal midollo spinale e dal nervo vago.

Al secondo cervello sono affidate le “decisioni viscerali”, cioè spontanee e inconsapevoli: ha quindi un ruolo importante nella gioia e nel dolore. Per studiare questo secondo cervello è nata una nuova scienza, la neurogastroenterologia. Le basi le ha gettate, a metà dell’800, Leopold Auerbach, un neurologo tedesco, che, osservando al microscopio l’intestino notò due strati sottilissimi di cellule nervose tra due strati di muscolo. E scoprì che questa specie di calza a rete avvolge tutto il tratto digerente, fino al retto...

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