domenica 20 gennaio 2019

MA CHI E' IL SELENIO?

Nel nostro Blog su www.medicinafunzionale.org che affronta l’argomento degli alogeni, abbiamo citato il selenio in quanto indispensabile per la conversione da T4 in T3 e, quindi, indispensabile a una ottimale funzione tiroidea, ma anche alle terapie che prevedano l’utilizzo di l-tiroxina (T4). Vogliamo approfondire l’argomento, in quanto ci è stato richiesto, e riteniamo questo sia un importante complemento all’articolo suddetto.

Il selenio a cosa serve e quali effetti benefici apporta?
Il selenio è l'elemento chimico di numero atomico 34. Il suo simbolo è Se e il suo termine spettroscopico è 3P2. È un elemento chimico non metallico, affine allo zolfo e al tellurio, utile al nostro organismo poiché protegge dai radicali liberi, insiemi di molecole dannosi per le nostre cellule. Infatti, questo elemento, operando come antiossidante, ostacola la formazione dei radicali liberi ritardando in tal modo l’invecchiamento cellulare; tutto ciò avviene in sinergia con altri microminerali necessari al nostro benessere, come lo zinco, il rame, lo iodio, il cromo e il manganese. 

L'elemento è tossico ad alte dosi, ma nel 1957 Schwarz e Foltz stabilirono che esso è un elemento essenziale nella dieta, utile nella prevenzione di alcune malattie. 

Alimenti naturalmente ricchi di selenio:
La possibilità di assumere selenio deriva dagli alimenti che consumiamo, più specificatamente il selenio giunge a noi nella forma della selenoproteina che è presente in diversi cibi, tra cui:
  • Agnello, manzo, pollo, tacchino e fegato di vitello
  • Pesce e frutti di mare
  • Uova
  • Lievito di birra
  • Funghi
  • Cereali

Il selenio in natura,  si trova in abbondanza nei terreni. Tuttavia l’agricoltura intensiva ha ridotto notevolmente la sua presenza.
Il selenio è maggiormente presente nei cereali integrali: il riso integrale  ne contiene 15 volte più del riso raffinato. Questa è una delle molte motivazioni che dovrebbero spingerci a consumare cereali integrali , solo se  provenienti da agricoltura biologica.
 
Il selenio è conosciuto per le sue proprietà antiossidanti. L’ azione antiossidante è dovuta al fatto che il Selenio è un componente essenziale di un enzima antiossidanti particolarmente efficace : il glutatione perossidasi . (antiossidante intracellulare )

Curiosità sul selenio:
Le noci del Brasile sono l’alimento con il più alto contenuto di selenio, infatti in una sola noce ne è contenuta la quantità di circa 80 mcg. Inoltre un’altra singolarità è che gli stessi aminoacidi contengono una piccola quantità di selenio.

Proprietà benefiche del selenio:
Oltre alla sua funzione di antiossidante contro i radicali liberi il selenio è indicato per:
  • Il miglioramento del funzionamento della tiroide: le persone con disfunzioni tiroidee hanno livelli ematici di selenio molto bassi.
  • La fluidificazione del sangue: processo interconnesso alla salvaguardia del cuore, infatti il selenio diminuisce la viscosità delle piastrine del sangue, prevenendo le malattie coronariche e gli ictus. Si ravvisano in concomitanza della carenza di selenio casi di cardiomiopatia e altri tipi di insufficienza cardiaca.
  • La prevenzione di malattie legate all'età, tra cui la cirrosi del fegato enfisema e l’artrite.
  • La protezione delle articolazioni dalle infiammazioni. A questo proposito i sollevatori di pesi e gli appassionati dell’attività fisica ricorrono a un integrazione di selenio quando ce n’è una carenza.
  • La prevenzione di alcuni tipi di tumore: i ricercatori della Cornell University hanno dimostrato che un’adeguata assunzione di selenio riduce i tumori del colon, del fegato, delle ghiandole mammarie e della pelle. Secondo il "Journal of Clinical Oncology" una giusta dose di selenio nel sangue provoca una diminuzione di probabilità di cancro alla prostata per gli uomini.
  • La stimolazione del sistema immunitario: dopo la somministrazione di vaccini, il selenio agisce unitamente al sistema immunitario per la produzione di anticorpi.
  • Il miglioramento della motilità dello sperma congiuntamente alle vitamine A, C ed E e quindi una maggiore probabilità di fertilità maschile.

Posologia e Modalità di somministrazione:
Si consigliano 55 mcg di selenio al giorno per gli adolescenti e adulti. Il livello di assunzione massimo è di 400 mcg. Il dottor Andrew Weil dell’Arizona Center for Integrative Medicine raccomanda 200 mcg per gli adulti ogni giorno. Tuttavia, c’è da ricordare che una dose eccessiva di selenio può causare problemi di salute. Mentre il National Institute of Health raccomanda una dose massima di 400 mcg di selenio per gli adulti sani.
Controindicazioni ed effetti collaterali:
Il sovradosaggio di selenio può causare problemi e provocare rischi per la salute. La caduta dei capelli e peli può essere un "primo avvertimento" del fatto che si stia assumendo più selenio di quanto il vostro corpo abbia bisogno.
Interazioni
Evitare di prendere il selenio in concomitanza con gli anticoagulanti, inclusa l'aspirina prescritta dal medico. Chiedete al vostro medico consigli sulle possibili integrazioni di selenio se già vengono assunti altri farmaci come: Coumadin (warfarin), Clopidogrel (Plavix), dalteparina (Fragmin), eparina, triclopidine (Ticlid), Enoxaparina (Lovenox) o altri di simile natura.
Gravidanza
Le donne in gravidanza devono assumere un’adeguata dose di selenio. Mangiare una porzione di cereali o di carne dovrebbe assicurare selenio sufficiente per la maggioranza delle persone. Una carenza combinata di iodio e selenio potrebbe causare una forma di ritardo mentale al bimbo conosciuta come il cretinismo endemico. Pertanto durante la gravidanza è lecito rivolgersi al medico per accertarsi che non vi siano deficienze di selenio.
Approfondiamo un  po'
Il selenio è un oligoelemento presente nella dieta di tutte le forme di vita conosciute; è un componente di un peculiare aminoacido, la selenocisteina.
Nel 1996 alcuni studi epidemiologici mostrarono una correlazione fra un supplemento di selenio nella dieta e la prevenzione del cancro negli esseri umani: tuttavia la vasta applicazione di questa scoperta non ha portato ad un significativo incremento dell'uso di selenio, per le bassissime dosi contenute negli integratori alimentari. 
Anche se il selenio puro nei dosaggi appropriati non è tossico, molti dei suoi composti invece sono estremamente tossici, con effetti molto simili a quelli dell'arsenico. Uno di questi composti è l'idruro di selenio. Piante cresciute in suoli ricchi di selenio possono causare gravi intossicazioni agli animali che dovessero cibarsene.
Il selenio è un oligonutriente presente in natura che rappresenta un nutriente essenziale, implicato in numerose funzioni biologiche. 
Fonti naturali di selenio sono pescecarnefrattaglielatte e derivati, lievito di birracerealinocifunghifrutta vegetali. Il selenio negli alimenti è presente sia in forma inorganica come selenite sia in forma organica come seleniometionina e seleniocisteina. 
Viene usato per eliminare i radicali liberi in sinergia con la vitamina E e in molti enzimi antiossidanti e gioca anche un ruolo importante nel funzionamento della ghiandola tiroide, dove è un fattore necessario al funzionamento dell'enzima 5-deiodinasi, responsabile della conversione della Tin T3.
Nel 1986 è stato scoperto un nuovo aminoacido contenente questo elemento: la selenocisteina, cioè una cisteina che al posto dello zolfo ha un atomo di selenio, che sembra essere inserita, con meccanismi di ricodifica traduzionale cellulari che sembrano essere post-traduzionali, in circa venti proteine umane di fondamentale rilevanza.
In clinica, il selenio può essere usato in sindromi a livello del sistema cardiovascolare, soprattutto come cofattore per il controllo della pressione arteriosa e nella prevenzione della Malattia di Keshan, dovuto probabilmente ad un enterovirus (Coxsackie), favorito dalla degenerazione delle membrane dovuta ai radicali liberi.
Il selenio nella dieta viene da cibi come cerealipesce uova. Le noci del Brasile possono essere molto ricche di selenio.
Le principali funzioni biologiche del selenio sono correlate al suo ruolo di difesa delle cellule dal danno ossidativo; il selenio è, infatti, un componente di molte proteine, note come selenoproteine, tra le quali vi sono la glutatione perossidasi (con funzione ossido-reduttasica di protezione delle cellule dallo stress ossidativo), la iodiotironina desiodasi (che catalizza la conversione di Ta T3) e la tioredoxina reduttasi (che partecipa al funzionamento di un sistema redox cellulare); altre selenoproteine hanno, invece, effetti immunomodulatori.
A livello tiroideo il selenio svolge dunque un duplice ruolo: in primo luogo è un fattore necessario al funzionamento delle 5-desiodasi, enzimi responsabili, come già detto, della conversione della T4 in T3, e una sua carenza può dunque provocare un difetto della produzione di T3, che è anche l'ormone tiroideo attivo. In secondo luogo il selenio, entrando nella costituzione delle glutatione perossidasi e della tioredoxina reduttasi (enzimi deputati alla degradazione del perossido di idrogeno (acqua ossigenata) che si forma durante la biosintesi degli ormoni tiroidei, che attraverso la modificazione di antigeni tiroidei può favorire l'iniziazione o la progressione di un processo tiroiditico, è anche implicato nella protezione della cellula tiroidea dal danno ossidativo e dalla progressiva fibrosi ghiandolare che ne conseguirebbe. È stato ipotizzato che una carenza di selenio possa contribuire all'attivazione di una tiroidite autoimmune in soggetti predisposti; si è osservata, in effetti, una correlazione inversa tra i livelli plasmatici di selenio e l'incidenza di tiroidite autoimmune in regioni con lieve deficit di selenio. Ciò è probabilmente legato ad un'intensificazione del processo infiammatorio tiroideo, conseguente alla riduzione dell'attività degli enzimi antiossidanti selenio-dipendenti ed alla mancanza dell'effetto immunomodulatore esercitato dal selenio. In effetti la supplementazione di selenio sembra migliorare il funzionamento sia dei tireociti che delle cellule immunitarie attraverso la correzione dell'alterata interazione tra linfociti e autoantigeni tiroidei nei pazienti con deficit dell'oligoelemento.
Inoltre, da studi effettuati in paesi con bassi livelli di selenio nel suolo, è emerso come questo elemento abbia un ruolo chiave nel migliorare le capacità di difesa “ossidativa” di tutto l'organismo, oltre che della tiroide. La carenza di questo oligoelemento può avere infatti conseguenze anche su altri organi ed è un importante fattore di rischio per l'insorgenza di alcune patologie, neurologiche, cardiovascolari ed anche per il diabete mellito. 
Gravi carenze di selenio sono, infatti, state associate a diverse malattie, quali la malattia di Kashin-Beck, un'osteoartropatia endemica descritta in regioni selenio-deficitarie del Tibet e la malattia di Keshan, una cardiomiopatia endemica giovanile descritta in alcune regioni della Cina che insorge in soggetti con deficit di selenio infettati dal virus Coxsackie B.
Altri studi hanno evidenziato che una carenza di selenio provoca anche una depressione dell'attività microbicida dei granulociti neutrofili. Proprio a causa di questo suo effetto sui granulociti neutrofili e su elementi del sistema immunitario, uno studio del gennaio 2007 ha dimostrato il suo ruolo nella diminuzione della carica virale nell'HIV. 
Nel 1986 è stato scoperto un nuovo aminoacido contenente questo elemento: la selenocisteina, cioè una cisteina che al posto dello zolfo ha un atomo di selenio, che sembra formarsi in seguito a una modifica post-traduzionale dell'aminoacido originale in circa venti proteine umane di fondamentale rilevanza. Una carenza di selenio in persone sane è relativamente rara. Essa può verificarsi in pazienti con funzione intestinale gravemente compromessa, in pazienti sottoposti a nutrizione parenterale totale, in pazienti gravemente malnutriti o affetti da gravi patologie croniche. Altri soggetti a rischio sono le popolazioni dipendenti da fonti agricole in suoli particolarmente poveri di selenio.

Per assumere una quantità giornaliera adeguata di Selenio, salvo casi specifici, è sufficiente una dieta sana ed equilibrata, in particolare ricca di latte, yoghurt, uova, cereali e, in particolare, noci e piselli.

La dose giornaliera raccomandata di selenio nell'individuo adulto di entrambi i sessi è di 55 microgrammi al giorno; in gravidanza e durante la fase di allattamento la dose raccomandata sale rispettivamente a 60 e 70 microgrammi al giorno; l'assunzione prolungata di più di 400 microgrammi al giorno può provocare una intossicazione da selenio (selenosi). La tossicità nell'uomo si evidenzia con diversi sintomi, tra cui degenerazione degli annessi cutanei quali capelli e unghie, diarrea e febbre. Si possono inoltre osservare dermatosi vescicolare, disturbi neurologici (parestesie, paresi) e danni epatici, più rari. A tale proposito, va segnalato che la supplementazione di selenio in forma organica si caratterizza per un miglior profilo di sicurezza e di tollerabilità rispetto alle forme inorganiche. 

In conclusione:
I nostri amici con malattie autoimmuni, in particolare della tiroide, ma tutti coloro che vogliono conservarsi in salute, devono imparare a apprezzare questo oligoelemento, prezioso per la salute se usato con moderazione e senza esagerare... e questo vale per tutte le supplementazioni in genere.

Buona salute!
Chiara Saggioro, B.Sci, Ph.D.
Alfredo Saggioro, M.D.


PS questo articolo, in parte, è stato ripreso da wikipedia.

sabato 1 settembre 2018

LE LECTINE SONO PROTEINE AMICHE O NEMICHE? by Chiara Saggioro


Siamo apparentemente sempre alla ricerca di quell'elemento insidioso, nelle nostre diete, che se eliminato, può ripristinare la nostra vita, la salute e la felicità. Di recente questa ricerca ha scoperto il suo ultimo colpevole: le lectine. Se non avete mai sentito parlare di lectine, glicoproteine leganti i carboidrati, presenti in molti alimenti, preparatevi a familiarizzare con ciò che alcuni ritengono "il prossimo glutine".[1]
Come per l’abitudine ormai insorta per molti di escludere il glutine dalla propria alimentazione, c'è una gran quantità di informazioni online e altrove sulla dieta priva di lectine.
Quello che segue è una raccolta di informazioni su questa tendenza alimentare emergente per aiutarvi a capire se le lectine sono amici, nemici o qualcosa di completamente più interessante.

Un improbabile antagonista
Le lectine sono proteine ​​che possono essere trovate nella maggior parte degli organismi viventi e sono state scoperte alla fine del 1880. Alcune lectine possiedono una tossicità intrinseca che si ritiene sia evoluta come deterrente naturale per proteggere piante e animali dall'essere mangiati. Sembra che funzioni, poiché è stato dimostrato che diverse specie animali sperimentano un ridotto assorbimento intestinale e una conseguente morbilità dopo aver ingerito le lectine.[2] 

Essenzialmente, la tossicità della lectina rispecchia l'effetto dell'avvelenamento da cibo e serve come un segno di cautela evolutivo.
Ma questo non è affatto vero per tutte le lectine, il cui raggio è considerevole. La maggior parte delle lectine è inattiva e senza attività biologica, mentre si pensa che altre abbiano benefici per la salute, e altre, come la ricina, possono essere un veleno mortale dopo il consumo.[3] 
Far di tutt'erba un fascio è fondamentalmente quindi privo di significato.

Gli argomenti principali contro le lectine derivano dalla loro attività biologica
Le lectine si legano fortemente e specificamente agli zuccheri (carboidrati). Questa affinità per gli zuccheri viene catturata nella parola "lectin" stessa, che deriva dalla parola latina legere, o "da selezionare".[4] 
Le lectine sono state paragonate a chiavi che possono sbloccare carboidrati specifici, che, a loro volta, possono danneggiare  le cellule in cui sono alloggiati e causare infiammazione.[5]
Se si consumano determinate lectine e non si hanno gli enzimi per digerirle adeguatamente, possono attraversare indisturbate il tubo digerente, fenomeno che è stato collegato a carenze nutrizionali, digestione interrotta e grave danno intestinale.[6] Vi sono anche dei rischi che si ipotizzano se le lectine entrano in circolo nell'organismo.  Gli articoli di revisione sull'argomento, basati principalmente su studi su animali, hanno ipotizzato che le lectine ingerite potrebbero aumentare la permeabilità intestinale, superare la parete dell'intestino, e depositarsi in organi distanti, causando condizioni infiammatorie, come l'artrite reumatoide e il diabete.[7,8]
Il nuovo status proposto per le lectine come rischio per la salute pubblica è peraltro assai improbabile, perché sono presenti negli alimenti generalmente considerati alimenti base di una dieta sana: cereali integrali, fagioli, piselli, pomodori, noci, latte e frutta, per nominarne solo alcuni. Gli alimenti contenenti le lectine potrebbero raddoppiare come la lista della spesa di un fanatico della salute (Figura tratta da Medscape). Ciò rende la prospettiva di evitare le lectine in qualche modo discutibile.

Sfatare la dieta priva di lectina
A differenza di altri interventi dietetici con origini difficili da definire, la mania di una dieta priva di lectina può essere attribuita a una sola persona: Steven Gundry, MD, cardiologo e cardiochirurgo californiano che attribuisce il proprio miglioramento di salute all’aver seguito una dieta priva di lectina. Gundry ha definito quelli che considera come i rischi delle lectine nel libro The Plant Paradox: I pericoli nascosti negli alimenti "sani" che causano la malattia e l'aumento di peso. Qui viene messa in gioco la tesi di Gundry secondo cui l'ingestione di lectine provoca un processo infiammatorio che può causare aumento di peso e gravi condizioni di salute, come le malattie autoimmuni.
Gundry è stato messo alla berlina da alcuni per il suo linguaggio allarmista che paragonava le lectine ingerite all'iniziare una guerra chimica sul proprio organismo e al fatto che si è poi sbilanciato dal punto di vista commerciale, offrendo un prodotto nutraceutico chiamato Lectin Shield sul suo sito web a quasi $ 80 a bottiglia. Ma il libro è nondimeno un best seller, e la sua storia sulle lectine si è diffusa attraverso vari media e voci che l’hanno divulgata attraverso convegni.
I critici sostengono che il vero problema consiste nel fatto che questa ipotesi non sembra essere supportata da alcuna ricerca clinica convincente, e non passa nemmeno il test della logica di base. Come molti hanno sottolineato, le popolazioni mondiali con le vite più lunghe e più sane si avvalgono di diete ricche di lectine, mentre gli Stati Uniti notoriamente no. Chiedono giustamente, se le lectine fossero davvero la fonte delle nostre lotte dietetiche, non dovremmo essere in condizioni migliori evitando di farlo in proporzioni relativamente più alte delle altre società?
 Ancora una volta, è importante ricordare che le lectine sono lontane dal essere quantitativamente così presenti e variano da cibo a cibo, dal benigno al tossico.[9] 
Inoltre, e in modo abbastanza convincente, questi alimenti sono resi sicuri per il consumo durante la cottura che le inattiva. Quindi se vi ritrovaste con il desiderio di mangiare fagioli crudi, probabilmente sperimentereste qualche sofferenza gastrica; tuttavia, se invece mettete gli stessi fagioli in una pentola e li lasciate cuocere a fuoco lento, come abitualmente vien fatto, la scienza  mostra che non corrererete alcun rischio. Questo perché il contenuto di lectina tossica nei fagioli rossi crudi diminuisce del 99% dopo la cottura (da 20.000-70.000 a 200-400 unità di emoagglutinazione).[3]

È questa disconnessione tra il senso comune e il clamore suscitato che ha portato pubblicazioni di alto profilo, come The Atlantic [1] e il Washington Post, [10] a etichettare la dieta priva di lectina come "pseudoscienza" e a promuoverla come  "disinformazione insidiosa".

Liberarsi dalle mode
L'assenza di lectina sembra pronta per il ciclo vitale della maggior parte delle mode alimentari, con un'ondata di interesse seguita da un'inevitabile caduta dalla grazia, quando viene soppiantata dalla prossima novità. Tuttavia, le prime reazioni alle diete prive di lectina da parte di dietisti e altri esperti sono state piuttosto irremovibili sul fatto che si tratta di un intervento infondato, [1,10,11,12] il che potrebbe in qualche modo indebolire l'entusiasmo.

Ciò che gode di una solida base di prove scientifiche è il valore del consumo di una dieta ricca di frutta, verdura, fibre, cereali integrali e altri alimenti benefici. 
Toglierli dal nostro piatto alla ricerca di una dieta che molti considerano una moda potrebbe portare a una vera crisi per la nostra salute.

È molto interessante osservare che le stesse proprietà che sono alla causa della rimozione delle lectine dalle diete, costituiscono invero fonte di intenso interesse clinico. Per i ricercatori nel campo emergente della lectinologia, una proteina fortemente legante con qualità tossiche che possa resistere alla digestione, sopravvivere al passaggio intestinale e rimanere attiva nel corpo non sembra essere motivo di paura, ma piuttosto qualcosa da imbrigliare. Stanno studiando i possibili usi di un composto di lectina terapeutica per il trattamento del cancro, HIV, malattie reumatiche del cuore, diabete, malattie oculari e altro.[9,13,14]
Sebbene questi sforzi siano ancora nella fase iniziale, se dimostreranno un successo anche moderato, potrebbe venire il giorno in cui le lectine non saranno considerate nocive per la nostra salute, ma qualcosa che ci ha permesso di combattere alcune delle più grandi minacce al nostro organismo.

Buona salute!

Chiara Saggioro, D.Sci., Ph.D.
Alfredo Saggioro, M.D.


Per saperne di più:


1.   Hamblin J. The next gluten. The Atlantic. April 24, 2017. Source Accessed August 8, 2018.
2.   Lampel KA, Al-Khaldian S, Cahill SM, eds. Bad Bug Book Handbook of Foodborne Pathogenic Microorganisms and Natural Toxins. Bethesda, MD: US Food and Drug Administration; 2012. Source Accessed August 8, 2018.
3.   These 50 foods are high in lectins: avoidance or not? Superfoodly. October 8, 2017. SourceAccessed August 8, 2018.
4.   Stillwell W. An Introduction to Biological Membranes: Composition, Structure and Function. 2nd ed. Amsterdam, The Netherlands: Elsevier Science; 2016.
5.   Sullivan K. The lectin report. June 1, 2018. Source Accessed August 8, 2018.
6.   Vojdani A. Lectins, agglutinins, and their roles in autoimmune reactivities. Altern Ther Health Med. 2015;21 Suppl 1:46-51.
7.   Freed DL. Do dietary lectins cause disease? BMJ. 1999;318:1023-1024. Abstract
8.   De Punder K, Pruimboom L. The dietary intake of wheat and other cereal grains and their role in inflammation. Nutrients. 2013;5:771-787. Abstract
9.   Lam SK, Ng TB. Lectins: production and practical applications. Appl Microbiol Biotechnol. 2011;89:45-55. Abstract
10.               Rosenbloom C. Going 'lectin-free' is the latest pseudoscience diet fad. Washington Post. July 6, 2017. Source Accessed August 8, 2018.
11.               Amidor T. Ask the expert: clearing up lectin misconceptions. Today's Dietitian. October 2017. Source Accessed August 8, 2018.
12.               Ware M. Everything you need to know about the lectin-free diet. Medical News Today. October 3, 2017. Source Accessed August 8, 2018.
13.               Coulibaly FS, Youan BB. Current status of lectin-based cancer diagnosis and therapy. AIMS Molecular Science. 2017;4:1-27.
14.               Estrada-Martínez LE, Moreno-Celis U, Cervantes-Jiménez R, Ferriz-Martínez RA, Blanco-Labra A, García-Gasca T. Plant lectins as medical tools against digestive system cancers. Int J Mol Sci. 2017;18.



martedì 21 agosto 2018

RACCOMANDIAMO: VALORI DI VITAMINA D SUPERIORI A 60 ng/ml

La vitamina D non è solo l’ormone del calcio e delle ossa, ma è coinvolta nella biologia di tutte le cellule e i tessuti del corpo, comprese le cellule immunitarie. Le cellule hanno bisogno della forma attiva di vitamina D per accedere ai progetti genetici conservati al loro interno.
Abbiamo preso in esame una recente review del Dr. Mercola e abbiamo cercato di renderla a voi disponibile visti i dati apparentemente clamorosi che ne emergono sul ruolo importante di questo ormone.

Mentre l'American Medical Association considera sufficienti 20 nanogrammi per millilitro (ng/ml), molteplici studi suggeriscono che 40 ng/ml sia il limite per la sufficienza, mentre e il livello ideale per la salute e la prevenzione delle malattie varia fra 60 e 80 ng/ml.
Il 75% degli adulti e degli adolescenti americani, e anche dei nostri pazienti, sono carenti di vitamina D, sulla base di un livello di sufficienza di 30 ng/ml. Poiché 30 ng/ml rappresentano ancora una fascia bassa, la maggior parte di questi è destinata ad avere livelli insufficienti per una salute ottimale.
Ormai siamo stati abituati a evitare l'esposizione al sole per ridurre il rischio di cancro della pelle, e, inoltre, conduciamo una vita poco all'aria aperta aumenterà peraltro il rischio di tumori interni e molti altri problemi di salute. Un livello di vitamina D di 40 ng/mL riduce il rischio di cancro del 67 percento, rispetto ad un livello inferiore a 20 ng/ml.
Livelli di vitamina D superiori a 60 ng/ml riducono il rischio di cancro al seno di oltre l'80% e livelli di 40 ng/ml riducono del 60% il rischio di parti prematuri. Esiste anche una forte relazione inversa tra la vitamina D e altri tumori, compreso il cancro del colon-retto, che è il terzo cancro killer negli Stati Uniti e in Europa.

Migliaia di studi sono stati condotti sugli effetti sulla salute della vitamina D, e la ricerca dimostra che è coinvolta nella biologia di tutte le cellule e i tessuti del corpo, comprese le cellule immunitarie. Le nostre cellule hanno effettivamente bisogno della forma attiva di vitamina D per accedere ai modelli genetici conservati all'interno. Questo è uno dei motivi per cui la vitamina D ha la capacità di influire su una così vasta gamma di problemi di salute, dallo sviluppo fetale al cancro.
Quando parliamo di vitamina D, ci riferiamo a un gruppo di pro-ormoni liposolubili  che è costituito da 5 diverse vitamine: vitamina D1, D2, D3, D4 e D5
Le due forme più importanti nelle quali possiamo trovare la vitamina D sono la vitamina D2 (ergocalciferolo)e la vitamina D3 (colecalciferolo), entrambe con una attività biologica molto simile. Il colecalciferolo (D3), derivante dal colesterolo, è sintetizzato negli organismi animali, mentre l'ergocalciferolo (D2) è di provenienza vegetale.
La fonte principale di vitamina D, per l'organismo umano, è l'esposizione alle radiazioni solari.La vitamina D ottenuta dall'esposizione solare o attraverso la dieta è presente in una forma biologicamente non attiva e deve subire due reazioni di idrossilazione(in cui un gruppo –OH viene appiccicato alla molecola iniziale), per essere trasformata nella forma biologicamente attiva, il calcitriolo. 
La quantità di D3 e D2 prodotti dipende dalle radiazioni ultraviolette (sono più efficaci quelle comprese tra 290 e 315 nm), dalla superficie cutanea esposta, dal suo spessore e pigmentazione e dalla durata della permanenza alla luce. Nei mesi estivi, se c’è una sufficiente esposizione della cute alla luce solare, la sovrapproduzione di vitamina D ne consente l'accumulo, così che la si possa avere a disposizione anche durante il periodo invernale.
L'assorbimento della vitamina D, che indroduciamo con gli alimenti, avviene con le stesse modalità con cui le altre vitamine liposolubili vengono assimilate. Essa, infatti, viene inglobata nelle micelleformate dall'incontro dei lipidi idrolizzati con la bile, entra nell'epitelio intestinale dove viene incorporata nei chilomicroni i quali entrano nella circolazione linfatica. In vari tessuti il colecalciferolo subisce una reazione di idrossilazione con formazione di 25-idrossicolecalciferolo [25(OH)D] il quale passa nella circolazione generale e si lega ad una proteina trasportatrice specifica (proteina legante la vitamina o DBP). Arrivato nel rene, il 25(OH)D può subire due diverse reazioni di idrossilazione, catalizzate da due differenti enzimi chiamati idrossilasi (la 1α-idrossilasi e la 24-idrossilasi), che danno origine, rispettivamente, all'1,25-diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)D] (calcitriolo), la componente attiva, ed al 24,25-diidrossicolecalciferolo [24,25(OH)D], una forma inattiva.

Le raccomandazioni che vengono fatte sulla vitamina D prevedono livelli troppo bassi per la prevenzione delle malattie.

Sfortunatamente, nonostante sia facile ed economica da trattare, la carenza di vitamina D è epidemica in tutto il mondo. Un semplice errore matematico di valutazione dei fabbisogni potrebbe anche essere il motivo per scoraggiare molti americani, canadesi e europei dall'ottimizzare la loro vitamina D. L'Istituto di Medicina (IOM) raccomanda solo 600 unità internazionali (UI) di vitamina D al giorno per gli adulti.
Come rilevato in un documento del 2014 [1], l'IOM in realtà sottovaluta la necessità di un fattore 10 a causa di un semplice errore matematico, che non è mai stato corretto. Inoltre, l'obiettivo di questa raccomandazione è semplicemente la salute delle ossa, non la salute ottimale e la prevenzione delle malattie croniche.
Allo stesso modo, mentre l'American Medical Association considera sufficienti 20 nanogrammi per millilitro (ng/ml), studi convincenti suggeriscono che 40 ng/ml sia il limite inferiore della sufficienza,[2] 30 ng/ml il limite inferiore per la prevenzione di malattie comuni come le malattie cardiache,[3] diabete,[4] malattie polmonari[5]e altro.[6,7,8]I livelli ideali per la salute e la prevenzione delle malattie sono in realtà tra 60 e 80 ng/ml.[9], inoltre, secondo uno studio di Anticancer Research,[10] sarebbero necessarie 9.600 UI di vitamina D al giorno per ottenere che la maggioranza (97,5%) della popolazione raggiungesse 40 ng/ml - ben lontano dalle 600 UI consigliate.
Detto questo, Grassroots Health - attraverso il suo studio D * Action - ha riscontrato una ulteriore variabilità nei livelli sierici raggiunti,[11]infatti, una persona che assume 5.000 UI di vitamina D al giorno può raggiungere un livello di appena 20 ng/ml mentre un'altra può essere in grado di raggiungere un livello di 120 ng/ml, pur assumendo la stessa quantità. 
Questo è il motivo per cui è così importante testare il livello di vitamina D a intervalli regolari.
Secondo i dati pubblicati negli Archives of Internal Medicine, il 12 per cento degli adulti e degli adolescenti americani sono carenti di vitamina D, sulla base di un livello di sufficienza di 30 ng/ml. Se il limite di sufficienza dovesse essere spostato a 40 o 60 ng/ml, i tassi di deficienza negli Stati Uniti sarebbero probabilmente nella fascia alta del 90 percento. Anche con un livello di sufficienza di 30 ng/ml, il 97 percento degli afro-americani e il 90 percento dei messicani-americani sono carenti di questo nutriente cruciale.

La maggior parte delle persone è carente di vitamina D, trovandosi così a rischio di cancro

Sfortunatamente, mentre molti professionisti della salute raccomandano di evitare totalmente l’esposizione al sole per evitare il cancro della pelle, questa strategia aumenta il rischio di cancro degli organi interni. Difficilmente un commercio equo! Numerosi studi hanno dimostrato che le persone con livelli più alti di vitamina D hanno un rischio molto più basso di un'ampia varietà di tumori.
In generale è stato dimostrato che una volta raggiunto un livello sierico di vitamina D di 40 ng/ml, il rischio di cancro diminuisce del 67 percento, rispetto a livelli di 20 ng/ml o meno.[13-19] La ricerca mostra che la maggior parte dei tumori si verifica nelle persone con livelli ematici di vitamina D tra 10 e 40 ng/ml, e i livelli ottimali per la protezione dal cancro sono stati identificati tra 40 e 60 ng/ml.

Alcune dicrepanze che potrete anche qui osservare, sono dovute al fatto che ci sono molti studi, diversi anche nell’impostazione. Noi, comunque, proprio per questo, suggeriamo di mantenere i propri valori di vitamina D fra i 70 e gli 80 ng/ml (moltiplicando per 2,5 si ha il valore in nmol/l).

La vitamina D aumenta anche le probabilità di sopravvivere al cancro, se per caso ne siete affetti,[20,21] e fra questi è incluso il melanoma, la forma più pericolosa di cancro della pelle.[22,23] Esistono anche prove che con la vitamina D si possono migliorare i risultati del trattamento. Ad esempio, l'aggiunta di vitamina D al trattamento convenzionale per il cancro del pancreas è stata riscontrata in grado di aumentare l'efficacia del trattamento.[24]

La carenza di vitamina D è associata al cancro del colon-retto

Più di recente, è stata scoperta una relazione inversa tra vitamina D e cancro del colon-retto,[25]che è il terzo principale cancro killer negli Stati Uniti e nel mondo occidentale. I livelli di vitamina D di 5.700 pazienti con cancro del colon-retto negli Stati Uniti, Europa e Asia sono stati confrontati con 7.100 controlli senza cancro. 
In questo studio, un livello di vitamina D di 12 ng/ml (30 nmol/l) o meno era considerato uno stato di carenza; 20-25 ng/ml (da 50 a 62,5 nmol/l) erano considerati sufficienti per la salute delle ossa. Livelli molto più alti erano associati alla protezione dal cancro:
Le persone con un livello di vitamina D pari o inferiore a 12 ng/ml avevano un rischio maggiore del 31 per cento per il tumore del colon-retto rispetto a quelle con livelli tra 20 e 25 ng/ml.
Quelli con livelli tra 30 e 35 ng/ml avevano un rischio ridotto del 19 per cento per il cancro del colon-retto
Quelli con livelli tra 35 e 40 ng/ml avevano un rischio ridotto del 27 percento
Per ogni aumento di 10 ng/ml di vitamina D circolante, il rischio di tumore del colon-retto era ridotto del 19% nelle donne e del 7% negli uomini
La coautrice Marji L. McCullough ha commentato i risultati di questo studio dicendo:[26]"Questo studio aggiunge nuove informazioni che possono  essere utilizzate dalle agenzie internazionali quando esaminano le prove per le linee guida della vitamina D e suggerisce che le concentrazioni raccomandate per la salute delle ossa potrebbero essere inferiori a quelle ottimali per la prevenzione del cancro del colon-retto". Un altro studio[27]pubblicato nel 2015 ha rilevato che le donne con concentrazioni di vitamina D di almeno 30 ng/ml presentava un rischio di cancro colorettale inferiore del 55 per cento rispetto a quelle che avevano un livello ematico inferiore a 18 ng/ml.

La vitamina D protegge contro il cancro al seno

Diversi studi dimostrano anche che livelli più elevati di vitamina D sono decisamente protettivi per il cancro al seno, che rappresenta una seria preoccupazione per la maggior parte delle donne. Ad esempio, in uno studio del 2005, 28 donne con livelli di vitamina D superiori a 60 ng/ml avevano un rischio di cancro al seno più basso dell'83 percento rispetto a quelle che presentavano valori inferiori a 20 ng/ml.

Più recentemente, un'analisi aggregata di due studi randomizzati e uno studio prospettico di coorte ha confermato nuovamente il legame tra la vitamina D e il rischio di cancro della mammella.[29] 
L'obiettivo era valutare se ci siano benefici ad avere livelli di vitamina D superiori a 40 ng/ml, poiché la maggior parte degli studi non si avventura nel valutare livelli più alti. Infatti, rispecchiando i risultati del 2005, le donne con livelli di vitamina D pari o superiori a 60 ng/ml presentavano un tasso di incidenza del cancro mammario più basso dell'82 percento rispetto a quelle con livelli di 20 ng/ml o meno.
I dati raggruppati sono stati analizzati in tre modi diversi. Innanzitutto, i tassi d’incidenza sono stati confrontati sulla base dei livelli di vitamina D compresi tra 20 e 60 ng/ml. Successivamente, sono state eseguite analisi statistiche utilizzando i grafici di Kaplan-Meier. In terzo luogo, la regressione multivariata di Cox è stata utilizzata per esaminare l'associazione tra vari livelli di vitamina D e rischio di cancro al seno. 

Secondo gli autori:
"I risultati sono stati simili per le tre analisi: in primo luogo, confrontando i tassi d’incidenza, c'era un tasso d’incidenza più basso dell'82% di cancro della mammella per le donne con concentrazioni di 25(OH)D ≥60 rispetto a <20 ng/ml.
In secondo luogo, le curve di Kaplan-Meier per concentrazioni <20, 20-39, 40-59 e ≥60 ng/ml erano significativamente differenti, con la percentuale più alta di soggetti liberi da cancro della mammella nel gruppo ≥60 ng/ml (99,3 per cento) e la percentuale più bassa di soggetti liberi da carcinoma mammario nel gruppo <20 ng/ml (96,8 percento). La proporzione con carcinoma mammario era inferiore del 78% per ≥60 vs <20 ng/ml.
In terzo luogo, la regressione multivariata di Cox ha rivelato che le donne con concentrazioni di 25(OH)D ≥60 ng/ml avevano un rischio inferiore del 80 per cento di cancro della mammella rispetto alle donne con concentrazioni <20 ng/ml, aggiustando per età, indice di massa corporea, stato di fumatrice, assunzione di supplementi di calcio e studio dell'origine ... Le concentrazioni più elevate di 25(OH)D sono state associate a una riduzione dose-risposta del rischio di cancro della mammella con concentrazioni ≥60 ng/ml che risultavano di massima protezione".

Carenza di vitamina D legata alle malattie polmonari

Altre recenti ricerche[30]collegano la carenza di vitamina D alla malattia polmonare interstiziale (ILD). Qui, i livelli di vitamina D di oltre 6.300 individui di varie etnie sono stati valutati per stabilire una eventuale connessione tra la vitamina D e la prevalenza e la progressione di ILD. Il 33% aveva un livello di vitamina D pari o superiore a 30 ng/ml; Il 35 percento presentava livelli tra 20 e 30 ng/ml e il 32 percento era assolutamente carente, con livelli pari o inferiori a 20 ng/ml. 
Secondo gli autori:
"Rispetto a quelli con concentrazioni considerate normali [pari o superiori a 30 ng/ml], i partecipanti con deficit di 25(OH)D avevano un volume delle aree ad alta attenuazione aggiustato maggiore del basale e una progressione aumentata su una mediana di 4,3 anni di follow-up. Il deficit di 25(OH)D è stato anche associato ad una maggiore prevalenza di anomalie polmonari interstiziali 10 anni dopo...
Il deficit di vitamina D è indipendentemente associato alla ILD subclinica e alla sua progressione, basata sia su aree ad alta attenuazione aumentate che su anomalie polmonari interstiziali, in una popolazione campione. Sono necessari successivi studi per esaminare se la terapia integrativa con vitamina D possa prevenire ILD o rallentarne la progressione. "

Anche tenendo conto di altri fattori, come l'età, il fumo, l'obesità e l'inattività, i risultati sono stati veritieri. Il dott. Erin Michos, professore associato di medicina alla Johns Hopkins University School of Medicine e autore principale dello studio, ha detto in un’intervista a Medical News Today:[31]
"Sapevamo che l'ormone della vitamina D attivato ha proprietà anti-infiammatorie e aiuta a regolare il sistema immunitario, e che questo si dimostra un elemento negativo nella ILD. C'era anche evidenza in letteratura che la vitamina D svolge un ruolo nelle malattie polmonari ostruttive come l'asma e la malattia polmonare ostruttiva, e ora abbiamo trovato che l'associazione esiste anche con questa forma di malattia polmonare.
Potremmo ora considerare di aggiungere la carenza di vitamina D nell'elenco dei fattori coinvolti nei processi patologici, insieme ai noti fattori di rischio di ILD come tossine ambientali e fumo".

Carenza di vitamina D legata alla perdita della gravidanza

La vitamina D è particolarmente importante per le donne incinte, in quanto protegge sia la loro salute sia la salute dei loro bambini. 
È interessante notare che recenti ricerche[32,33] suggeriscono come la vitamina D svolga un ruolo importante nella prevenzione di una risposta immunitaria avversa contro il feto che potrebbe indurre l’organismo materno a rigettarlo come tessuto estraneo.

Come osservato dagli autori: 
"E 'ovvio che una madre immunocompetente potrebbe presentare una risposta immunitaria contro il feto, ma in realtà ciò non avviene a causa di varie interazioni fetali che inducono tolleranza... Recentemente, è stato scoperto come la vitamina D possa giocare un ruolo fondamentale nell'induzione e regolazione di questo processo critico di tolleranza immunitaria. "Quello che hanno scoperto è che la ricorrente perdita di gravidanza, che colpisce circa l'1% delle coppie che cercano di concepire, è legata alla bassa vitamina D.
In breve, la vitamina D promuove un ambiente favorevole per la gravidanza, in parte regolando la differenziazione delle cellule immunitarie e l'escrezione delle citochine infiammatorie. Secondo gli autori, "sembra che la carenza di vitamina D alteri l'equilibrio verso un risultato peggiore e possa avere, quindi, un ruolo nella perdita ricorrente di gravidanza". 
La vitamina D svolge anche molte altre importanti funzioni durante la gravidanza e ha dimostrato di ridurre drasticamente il rischio di complicanze e di parto prematuro.

La vitamina D riduce significativamente il rischio di nascita pretermine

Secondo i risultati di Grassrootshealth, esiste una chiara e definitiva correlazione tra i livelli di vitamina D e la durata della gestazione - fino a valori di 40 ng/ml, dove si verifica un plateau.[34] Nel complesso, abbiamo le prove che le donne in gravidanza, con un livello di vitamina D tra 40 e 60 ng/ml, presentano un tasso di natalità pretermine inferiore del 46 percento rispetto alla popolazione generale, mentre quelle con livelli di vitamina D pari o superiori a 40 ng/ml, a partire dal terzo trimestre di gravidanza presentano un rischio inferiore del 59 percento di parto prematuro rispetto a quelle con livelli inferiori a 20 ng/ml.[35]

Tra le donne non caucasiche (tra le quali la carenza di vitamina D è molto più comune) la riduzione del rischio è ancora più significativa. In questo gruppo, quelle che hanno raggiunto livelli di vitamina D di almeno 40 ng/ml, al loro secondo test dei valori di vitamina D, hanno avuto un tasso di natalità pretermine inferiore del 78% - riducendo il tasso effettivo di nascita pretermine dal 18 al 4%! 
Ignorare questo stupefacente miglioramento del tasso di natalità pretermine tra gli afro-americani sarebbe una vera follia.

Come è stato osservato in un comunicato stampa del 2015 che annunciava i risultati:[36]
"Il March of Dimes stima che il costo annuale delle nascite pretermine negli Stati Uniti sia di 12 miliardi di dollari (per 455.918 bambini). 
Se circa il 50% delle nascite pretermine potesse essere prevenuto nella popolazione generale, come suggerisce questa analisi, potrebbero esserci 6 miliardi di dollari disponibili per altri servizi, e oltre 225.000 bambini e famiglie che hanno risparmiato questo trauma".
Inoltre, successive ricerche hanno rivelato come le donne con una storia pregressa di parto pretermine possano abbassare il rischio di circa l’80 percento, alzando i livelli di vitamina D sopra 40 ng/ml.[37] Tragicamente, nonostante prove schiaccianti[38]a sostegno dell'uso della vitamina D per migliorare in modo drammatico i risultati della gravidanza e ridurre i tassi di natalità pretermine, le autorità sanitarie non ne fanno comunque menzione.
Il 27 marzo 2018, nel tentativo di rompere il silenzio, la Organic & Natural Health Association ha presentato una petizione sulla salute alla Food and Drug Administration degli Stati Uniti, per mettere in evidenza questa associazione fra valori di vitamina D e la nascita pretermine,[39] il messaggio chiave è che la supplementazione di vitamina D ha conseguenze "dirette" sulla salute e sta cambiando gli standard di cura, in questo caso, per le donne incinte e una generazione di bambini".

Uno studio canadese trova che il lettino abbronzante può aiutare a ottimizzare i livelli di vitamina D

Il modo migliore per ottimizzare la vitamina D è attraverso l'esposizione al sole regolare ma ragionevole, assicurandosi di misurare valori ematici due volte l'anno. Detto questo, può essere difficile per molti raggiungere livelli ideali attraverso l'esposizione al sole, specialmente in inverno. In questi casi, può essere utilizzata la vitamina D3 orale (non D2), anche se, in questo modo, si rinuncia a molti altri benefici per la salute associati all'esposizione solare. GrassrootsHealth ritiene che un'altra alternativa potrebbe essere l'utilizzo di un lettino abbronzante.
Uno studio canadese[40] supporta questa ipotesi.
Come riportato da GrassrootsHealth:[41]
"I lettini con una componente UVB simile al sole estivo solare possono fornire un'efficace fonte alternativa di vitamina D durante i mesi invernali, secondo un nuovo studio canadese appena pubblicato sulla rivista Journal Dermato-Endocrinology. Lo studio riferisce che le persone che usano i saloni abbronzanti, in particolare i lettini che hanno UVB durante l'inverno, raggiungono livelli ematici fisiologici (>100 nmol/l pari a 40 ng/ml) di vitamina D.
È emerso che i partecipanti che usavano i tipici lettini che emettevano raggi UVB nella gamma equivalente al sole estivo all'aperto aumentavano i loro livelli ematici di vitamina D in media di 42 nmol/l (16,8 ng/ml). Ciò è stato ottenuto utilizzando i normali programmi di esposizione abbronzanti su lettini da solarium."
I lettini abbronzanti utilizzati in questo studio - trovati in saloni di abbronzatura presenti in tutto il Canada - sono stati equipaggiati con lampade fluorescenti da 100 a 160 watt che emettono luce UVB fra il 2,2 e il 4,2 percento. L'autrice principale Samantha Kimball, Ph.D., direttore della ricerca presso la Pure North S'Energy Foundation di Calgary ha commentato i risultati, dicendo:
"I lettini solari consentono un'esposizione a quasi il 100% della pelle in modo controllato che ne amplifica l'efficacia per la produzione di vitamina D. Abbiamo scoperto che è possibile aumentare efficacemente i livelli di vitamina D nell'intervallo desiderato senza provocare scottature e seguendo le raccomandazioni di Health Canada."

Il ruolo della vitamina D nella prevenzione delle malattie

Un numero crescente di prove dimostra che la vitamina D svolge un ruolo cruciale nella prevenzione delle malattie e nel mantenimento di una salute ottimale. Ci sono circa 27.000 geni nel nostro organismo e la vitamina D interagisce con quasi 3.000 di loro, così come i recettori della vitamina D presenti in tutto il corpo.
Secondo uno studio su larga scala, i livelli ottimali di vitamina D possono ridurre il rischio di cancro fino al 60%. Mantenere i livelli ottimizzati può aiutare a prevenire almeno 16 diversi tipi di cancro, tra cui il cancro al colon, alla mammella, al pancreas, ai polmoni, alle ovaie, alla prostata e alla pelle.
C'è da meravigliarsi quindi che, indipendentemente da quale malattia o condizione venga indagata, la vitamina D sembri svolgere un ruolo cruciale? 
Oggi, combinando la scienza della misurazione (dei livelli di vitamina D) con la scelta personale di agire e, il valore dell'educazione sulle singole misure, si può veramente essere responsabili della propria salute.
Speriamo di essere stati utili e convincenti.

Buona salute!
Chiara Saggioro D.Sci., Ph.D.
Alfredo Saggioro, M.D.



Per saperne di più
  • Vitamin D for Public Health
  • Free Vitamin D Educational Training for Medical Practitioners
  • Scientific Consensus Paper Released; Assert Sunlight and Vitamin D are Essential for Human Health
  • Vitamin D Resource Page

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2 GrassrootsHealth, 71 % Reduction in All Cancer Risk
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5 Chest 2005;128 (6) 3792- 3798
6 Am J Clin Nutr 2006;84 (1) 18- 28
7 Am J Prev Med 2007;32 (3) 210- 216
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