lunedì 17 febbraio 2014

LA DIETA PER IL METEORISMO (PANCIA GONFIA)

Il sintomo gonfiore, a livello addominale, sia superiore che inferiore, è molto frequente, può verificarsi in fase post-prandiale, ma può essere presente nel corso della giornata. Può associarsi a stipsi o diarrea o borborigmi (brontoloni di pancia), ma anche a sintomi del tratto digestivo superiore quali nausea o reflusso. La pancia, quando è gonfia, è sempre dolente.
Le cause sono sicuramente molte e differenti, compreso stress, farmaci, errori alimentari o effetti indesiderati di alimenti ecc. Vorrei qui soffermarmi su un aspetto specifico che è molto frequente e non affrontato in modo sistematico.

Alcuni zuccheri che comunemente utilizziamo nella nostra alimentazione possono avere un ruolo nel determinare sintomi addominali, non solo in quanto fermentano o determinano un effetto osmotico se non assorbiti, ma anche in quanto correlati con le afferenze viscerali sensitive, e quindi con il sintomo dolore. L’effetto di questi alimenti può essere anche molto intenso.

Vediamo quindi cosa sono questi particolari carboidrati e cosa possono fare, iniziando con il lattosio.

Il lattosio è un disaccaride molto comune nei prodotti caseari (latte e derivati). Fino al 90% delle persone presenta un certo grado di intolleranza al lattosio, percentuale che incrementa in base alle origini etniche. L’intolleranza al lattosio è, infatti, più frequente nei neri, negli indiani e nelle popolazioni di origine ispanica. E’ presente una relativa tolleranza fra gli europei, ma questa tende a perdersi con l’età. Nell’area mediterranea, quella in cui viviamo, circa il 65% della popolazione presenta intolleranza al lattosio.

Alcune situazioni possono modificare la tolleranza del singolo paziente al lattosio, perché la sua digestione e assorbimento richiedono lattasi, un enzima situato nei villi del piccolo intestino, e necessario per la sua digestione. Se ad esempio una persona soffre di gastroenterite, o un paziente con malattia di Crohn presenta una riacutizzazione, si può verificare una temporanea intolleranza al lattosio. Pertanto gli alimenti che lo contengono vanno temporaneamente evitati.

L’intolleranza al lattosio è definita dall’incapacità di assumere senza sintomi gli alimenti contenenti questo disaccaride. È importante sapere che i formaggi a pasta dura, stagionati, sono relativamente privi di lattosio, perché questo è eliminato dai processi di fermentazione che avvengono durante la maturazione del formaggio. Questi alimenti, assieme al burro e alla panna acida, sono consentiti in una dieta priva di zuccheri fermentanti.

L’enzima lattasi, è presente in molti integratori e si può aggiungere durante certi pasti per rendere il soggetto più tollerante al lattosio. Lo yogurt, per la presenza del Lactobacillus, può pure essere tollerato. Comunque, lo yogurt congelato non è nella lista e si possono sperimentare diluizioni di yogurt con acqua.

Spesso i pazienti che sostengono di non essere intolleranti al lattosio presentano giornate buone e giornate cattive. Se si analizza accuratamente la loro alimentazione e si misura la relativa quantità di latte assunta in quei giorni, si può vedere come questo contribuisca ai loro sintomi. In questo caso, se iniziamo a parlare di una dieta di esclusione, ci sono alimenti che il singolo soggetto può scoprire non dovere completamente eliminare e, comunque, potrà scegliere di minimizzare questi alimenti o di aggiungere integratori enzimatici alla propria dieta.

Il secondo zucchero, per importanza, è il fruttosio, lo zucchero che ritroviamo nel miele e in molta frutta come pere, mele, uva, uva passa, prugne, pesche e ananas. Queste frutta sono molto ricche in fruttosio.
L’assorbimento del fruttosio è regolato dal suo bilanciamento nel cibo. Quando la parte di fruttosio supera quella del saccarosio (lo zucchero della zuccheriera) negli alimenti che li contengono entrambi, avviene un’intolleranza al fruttosio. Questi alimenti ricchi in fruttosio devono quindi essere eliminati o molto ridotti nella dieta.

I fruttani sono oligosaccaridi, polimeri di molecole di fruttosio, che si trovano nella farina di frumento e in molti tipi di vegetali (per es. carciofi, asparagi e cipolle). I fruttani a catena più lunga si chiamano inuline e queste sono spesso addizionate, come fibre solubili, allo yogurt. Lo yogurt, quindi, in determinate situazioni, può essere causa di sintomi importanti. In un paziente che mangia molto yogurt e presenta molto gas e diarrea, lo yogurt può essere causa di riacutizzazione dei sintomi.

I fruttani sono pure presenti in una varietà di frutta molto zuccherina come le pere, ananas, banane, prugne e mele. Queste devono quindi essere evitate, soprattutto in presenza di diarrea.

La farina di frumento è la fonte più comune di fruttani, e, negli Stati Uniti, ma anche in Italia, rappresenta la fonte di cica il 70% dei fruttani contenuti nell’alimentazione quotidiana.  In un paziente che ha fatto i test per la malattia celiaca ed è negativo, senza evidenza sierologica di intolleranza alla farina di frumento, si deve pensare comunque a una dieta che escluda il glutine, o almeno la farina di frumento. Questo porterà, nella maggior parte dei casi, a un notevole successo con miglioramento dei sintomi, probabilmente per la presenza di fruttani nella farina. E con questo ritorniamo all’idea già espressa di giorni buoni e giorni cattivi. Infatti, un paziente può assumere una quantità maggiore di farina contenente fruttani e avere una giornata cattiva. E questo può avvenire anche se l’assunzione relativa di altri di-oligosaccaridi è ben bilanciata.

I galattani sono polimeri del galattosio. Gli esseri umani non hanno un enzima capace di degradarli (digerirli) e di assorbirli (sono contenuti, per es. nell’anguria).

Bisogna fare molta attenzione al consumo di polioli perché queste sostanze sono spesso utilizzate come dolcificanti (le cosiddette caramelle senza zucchero e altro). Alcuni additivi alimentari contengono polioli idrogenati ed è quindi importante imparare a leggere bene le etichette sulla composizione degli alimenti che si vanno ad acquistare. Ance lo sciroppo di mais (corn syrup) che è un elemento molto ricco in fruttosio, è spesso utilizzato come additivo alimentare.

Quando si parla di sindrome dell’intestino irritabile (IBS), quindi, bisogna stare molto attenti a quelle che sono le attitudini alimentari: spesso viene suggerito di introdurre nell’alimentazione molte fibre (frutta e verdura), e questo è giusto, ma contemporaneamente bisogna comprendere quali siano gli elementi della dieta che si possono assimilare normalmente e quali vanno invece evitati.
È assolutamente un fenomeno individuale ed è importante individuare se ci siano alimenti ai quali il singolo può essere particolarmente sensibile.

Per il paziente con IBS, sia che accusi stipsi, diarrea, gonfiore o borborigmi (movimenti esagerati intestinali) questo può fare la differenza.

Infatti, una dieta ad alto contenuto di fibre va certamente presa in considerazione, da un punto di vista salutistico, per i suoi molteplici benefici sulla salute: e anche nell’IBS, in molti casi, aumentando l’introduzione di fibre nella dieta, utilizzando alimenti ad alto contenuto di fibre e, talora, supplementi di fibre come il glucomannano o lo psillio e aumentando l’assunzione di liquidi si possono risolvere molti casi di IBS.

Ma talora i sintomi possono perfino peggiorare, e allora si deve prendere in considerazione un approccio diverso che prende il nome di FODMAPs (Fermentable Oligosaccaride, Disaccaride, Monosaccaride, and Polyglycans), un nuovo approccio nutrizionale all’IBS, coniato da due ricercatori Australiani, Susan J. Shepherd e Peter R. Gibson, che, con questo approccio hanno raggiunto risultati nel 75% dei loro pazienti.
Una dieta a basso contenuto di FODMAPs evita certi alimenti contenenti alcuni zuccheri e fibre capaci di provocare diarrea, stipsi, gas, borborigmi e dolore addominale nei pazienti con IBS.

La dieta a basso contenuto di FODMAPs evita appunto questi alimenti che sono, ad esempio:
·      Lattosio (conosciuto anche come zucchero del latte, che si trova nel latte, yogurt e gelati)
·      Fruttosio (conosciuto come zucchero della frutta, che si trova nella frutta, nello sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, nel miele e nello sciroppo di agave)
·      Sorbitolo, mannitolo e altro –olo, dolcificanti (che si trovano in alcune frutta e vegetali, come pure in alcuni tipi di gomme da masticare e dolciumi senza zucchero)
·      Fruttani (un tipo di fibra contenuto nella farina di frumento, cipolle, aglio e radici di cicoria)
·      GOS (un tipo di fibra che si trova nei piselli e legumi in genere, nell’hummus e nel latte di soia)

Questi cinque generi di FODMAPs hanno parecchie cose in comune: 
  • Sono scarsamente assorbiti durante i processi digestivi.
  • Sono rapidamente fermentati dai batteri che vivono nell’apparato digerente (microbioma).
  • Possono alterare l’equilibrio idroelettrolitico nell’intestino.
  • Tutti assieme, questi effetti, possono comportare crisi di sintomi che si riferiscono all’IBS.
Riducendo il carico complessivo nella dieta quotidiana di questi carboidrati, si possono ridurre i fastidiosissimi sintomi dell’IBS, che compaiono, in genere, entro ore dall’aver mangiato un pasto o uno snack ricco in FODMAPs.

Ironicamente, molti alimenti ad alto contenuto di FODMAPs rappresentano, diversamente, delle scelte salutistiche e sono spesso raccomandati da chi pratica la medicina funzionale, la prevenzione delle malattie, la medicina anti-age. Per coloro che li tollerano un’alimentazione ad alto contenuto di frutta, vegetali, prodotti caseari, legumi e farine integrali può rappresentare un cibo meraviglioso! Ma le persone con IBS devono spesso limitare le loro porzioni di questi alimenti o subirne le conseguenze.

Alimenti o ingredienti comuni  ad alto contenuto di FODMAPs
Alternative a basso contenuto di FODMAPs
Latte di soia; Latte di vacca o di capra, yogurt, gelato
Latte di vacca, yogurt e gelato senza lattosio (ad alta digeribilità); latte di riso, cocco o mandorla
Bevande, sciroppi o condimenti dolcificati con sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, miele o agave.
Bevande, sciroppi o condimenti dolcificati con zucchero granulato, succo di canna evaporato, zucchero di canna, 100% sciroppo di acero puro.
Frutta disidratata o secca, succhi di frutta, barrette di frutta o di frutta secca e noci
Frutta fresca o congelata
Mele, pere, frutta compatta (ciliegie, pesche, prugne, albicocche, avocado, mango), anguria, more.
Piccole porzioni (100 grammi) di fragole, mirtilli, lamponi, uva, ananas, melone, kiwi, banane mature, arance, limoni, lime, pompelmi.
Aglio, cipolle, broccoli, cavolfiore, cavolo, verza, funghi, mais dolce
Olio aromatizzato all’aglio, erba cipollina e cipollette, spinaci, lattuga, pomodori freschi, cetrioli, carote, zucchini, peperoni, patate bianche, piccole porzioni (100 grammi) of legumi verdi, piselli, patate dolci
Frumento, orzo o segale; pane, cereali, pasta o prodotti da forno fatti di farina di frumento, orzo o segale; barrette ad alto contenuto di fibre o di cereali
Avena, riso, farina di mais o quinoa; pane, cereali, pasta or prodotti da forno fatti di avena, riso, farina di mais o quinoa.
Dolciumi senza zucchero, dolcificati con sorbitolo, mannitolo, maltitolo, xylitolo.
Piccole porzioni (30-50 grammi) di dolci dolcificati con zucchero.
Legumi, legumi lessati o saltati, hummus
Tofu consolidato
Pistacchi, anacardi
Piccole porzioni (1 manciata) di altre noci, burro di noci o semi

Utilizzando questi principi, si può pensare di impostare una dieta di eliminazione, secondo i criteri FODMAP per evidenziare eventuali selettive intolleranze. La dieta di eliminazione è una “dieta di apprendimento” con una strategia e un progetto; l’attenta osservazione dei sintomi aiuterà il paziente a comprendere come un certo tipo di alimenti possa contrariarlo.
All’inizio si devono limitare tutti gli alimenti contenuti nella lista dei FODMAPs nella alimentazione quotidiana. In genere sono sufficienti due settimane per far sparire i sintomi. Successivamente si provvederà a reintrodurre FODMAPs un tipo alla volta, e iniziando dalla lista di quelli a basso contenuto.
Quello che in genere si potrà osservare è che solo uno o due FODMAPs sono responsabili dei sintomi e, alla fine, gran parte dei pazienti si renderà conto che potrà mangiare, con moderazione, gli alimenti, anche ad alto contenuto di FODMAPs, che preferisce.
Facciamo un esempio:
Se scoprite che le farine ad alto contenuto di FODMAPs sono un problema, ma amate molto la pizza, quello che avete imparato, a questo punto, può aiutarvi a decidere come gestire questa situazione: scegliere una pizza più sottile, mangiarne solo alcune fette, scegliere una pizza senza glutine, evitare altri cibi ricchi di FODMAPs durante quel pasto, mangiarla meno di frequente o, scegliere per il vostro piacere e affrontare il risultante trambusto provocato nella vostra pancia. L’obbiettivo finale, per ciascun individuo è mangiare utilizzando la dieta più variata che può tollerare, non restringerla secondo regole restrittive e immutabili.
Quello che è importante, in ogni caso è escludere altre condizioni che possano provocare i sintomi, e questo va fatto, in genere, prima di iniziare una dieta a basso contenuto di FODMAPs:
  •            Escludere la malattia celiaca o l’ipersensibilità al glutine che rientra nel quadro delle intolleranze proteiche.
  •            Scegliere un momento nel quale si ha tempo per leggere bene le etichette degli alimenti e per prepararsi il cibo a casa.
  •           Alimentarsi prevalentemente di cibi semplici e non confezionati
  •           Se si mangia fuori casa scegliere cibi semplici, con ingredienti facilmente riconoscibili, come pesce o carne ai ferri, patate al forno, insalata verde (senza cipolle) con olio di oliva e aceto balsamico.
Non imparate a convivere con i vostri sintomi da IBS, ma piuttosto imparate bene cosa sia la FODMAPs e provate una dieta di eliminazione per trovare quale alimentazione a basso contenuto di FODMAPs sia giusta per voi!


sabato 15 febbraio 2014

DISTURBI RIFERITI AL GLUTINE E COME FARE DIAGNOSI

Quando il mondo accettò che la terra non era piatta, si verificò uno sconvolgente cambiamento di paradigma! Ciò aprì la strada a nuove linee di pensiero e a incredibili avventure da sognare e realizzare.
Un simile rovesciamento di paradigma si è verificato all’interno della conoscenza medica e al sistema di cura con il riconoscimento della Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS), ovvero dell’esistenza di ipersensibilità al glutine, e che questa è almeno sei volte1, ma probabilmente 20 volte2, più frequente della Malattia Celiaca (se i dati riferiti alla sanità italiana sono corretti, e si parla di 130.000 celiaci in Italia, vorrebbe dire che la popolazione affetta da NCGS potrebbero variare fra i 700 mila e i 2 milioni e 600 mila).
La domanda che ci si pone è se il mondo dei disturbi associati al glutine possa essere differenziato e come. Questa domanda è preliminare a una discussione critica, infatti, va considerato se una reazione IgE debba essere trattata allo stesso modo di una reazione IgA. E, anche se forse i protocolli sono molto simili, se l’enfasi che si deve porre nell’approccio a queste problematiche debba essere differente.
Le quattro categorie che oggi sono riconosciute di risposta al glutine come agente offensivo sono:
  •        Allergia (IgE mediata)
  •        Ipersensibilità al glutine (NCGS)
  •        Malattia Celiaca
  •        Sindrome da malassorbimento non-immune

Vediamo ora di cercare di definirle meglio.
La prima, la più antica in termini di tempo a essere identificata nella letteratura medica  è un’allergia, un’allergia al frumento. Questa è una reazione IgE. E i test sono disponibili dagli anni ’50. Se ricordate, il prick-test (i ponfi sottocutanei) utilizzato ancor oggi e l’esame del sangue (IgE specifiche), sono nati circa in quegli anni. E ogni altro tipo di risposta immunoglobulinica non può essere chiamata allergia, perché quando fu identificata la prima risposta immune, appunto IgE-mediata, fu coniato il termine di allergia. Per questo si può parlare di allergia al glutine solo se c’è una risposta IgE, mentre tutto il resto sono patologie glutine-correlate3-6.
La seconda è una risposta immunitaria non-IgE. E potrebbe essere IgA, IgG o IgM. Facciamo una metafora, con le forze armate, e questo esempio potrebbe servire a spiegare la situazione ai nostri pazienti. "Il sistema immunitario è come le forze armate. È lì per proteggerti. Hai un esercito, un'aeronautica, marina, guardia costiera. IgA, IgG, IgE, IgM.  Così la seconda categoria è rappresentata dalla risposta immunitaria non-IgE. Oggi si discute molto nella letteratura riguardo questa categoria. Questo include il mondo degli ipersensibili al glutine (NCGS = Non Celiac Gluten Sensitivity)7.
La terza categoria è la malattia celiaca, unica e a modo suo a sé stante. Valuteremo la confusione in fase di test per la celiachia, perché abbiamo un enigma con i test da affrontare.
La quarta categoria è una sindrome da malassorbimento non immune.
Così, ci sono quattro diverse categorie di disturbi correlati al glutine, che abbiamo la necessità di differenziare una volta che ne abbiamo il sospetto, o che il paziente riferisce dei sintomi che sono correlati all’assunzione di glutine.
Perché è importante la nomenclatura? Perché consente di seguire il percorso della risposta clinica e terapeutica e di scegliere che protocolli si potrebbero prendere in considerazione. Non si deve trattare una reazione IgA come se si trattasse di una reazione IgE. È davvero utile utilizzare l'analogia con i diversi rami delle forze armate. Facciamo una rapida rassegna. Le IgE stimolano una risposta istaminica che può essere in grado di mettere in pericolo la vita, come le allergie agli arachidi, al sesamo, ai crostacei e così via, provocando edema della glottide. IgA è una risposta delle superfici epiteliali, principalmente dell’intestino e dei polmoni. IgG è una risposta sistemica. E IgM è una prima risposta. E questo è importante conoscerlo perché molti dei test disponibili valutano solo un ramo del sistema immunitario. In gran parte valutano la risposta IgG. Alcuni soggetti potrebbero risultare negativi per una reazione IgG e avere, ad esempio, una reazione IgA o IgM? A questa domanda la risposta non può che essere una: assolutamente sì. È una realtà molto frequente, che si riscontra clinicamente; ci sono soggetti che non presentano una reazione IgG, o solo una risposta minima, mentre presentano una reazione IgA sostanzialmente elevata. Così se ci si limita a guardare la Marina, si può perdere di vista il fatto che l'Aeronautica è completamente in crisi. Ecco perché non dovremmo mai trarre conclusioni interpretando una singola immunoglobulina - IgG o IgA - come conclusiva. Se viene positiva, è molto probabile che sia positiva. Ma se viene negativa e ci si limita a considerare un singolo ramo, il sistema immunitario del paziente potrebbe essere non-responsivo. O si potrebbe avere una vera e propria reazione con un altro tipo d’immunoglobulina. 
Parliamo ora dei test genetici e lasciamo momentaneamente da parte la risposta immunitaria. È vero che è possibile utilizzare la genetica per diagnosticare la malattia celiaca? Non c’è dubbio che la risposta è no. È la vecchia scuola di pensiero, basandosi su qualche pubblicazione scientifica, che sosteneva che i test genetici possono essere un indicatore sufficiente per assumere che qualcuno soffre di malattia celiaca. Questo avveniva perché molti studi hanno dimostrato che fino al novantacinque per cento dei pazienti celiaci ha il gene HLA-DQ2. E l’altro cinque per cento l’HLA-DQ8. In questo modo quasi il cento per cento delle persone avrà uno dei due. Recentemente, a Chicago, al Simposio Internazionale sulla Celiachia, nel giugno del 2013, è stato presentato uno studio che dimostrava che circa il sette per cento dei celiaci - con esame istologico con totale atrofia dei villi - non ha né uno né l’altro gene. E ora sappiamo che ci sono altri geni coinvolti oltre  a DQ2 e DQ8. Quindi, non si può presupporre che DQ2 e DQ8 siano gli unici.
Qual è il punto cruciale?. Su International Archives of Allergy and Immunology nel 20107 è stato pubblicato - e da allora altri tre studi lo hanno confermato - che fino al cinquanta per cento dei pazienti con ipersensibilità al glutine (NCGS) presenta il gene HLA-DQ2 o DQ8. Fino al cinquanta per cento di chi non soffre di malattia celiaca, è portatore del gene che abbiamo sempre ritenuto fosse il gene celiaco. Per questo è molto probabile che in futuro, man mano che gli studi progrediranno, noi non chiameremo più questi i geni celiaci, ma, forse, i geni della suscettibilità al glutine. E oggi noi cominciamo a conoscere che ci sono famiglie di geni associate con i disturbi riferibili al glutine, non solo la malattia celiaca, ma con lo spettro dei disordini riferibili al glutine. Questo è il motivo per cui, alla domanda se DQ2 e DQ8 facciano diagnosi di malattia celiaca, noi oggi sappiamo che sicuramente la risposta è no. La loro presenza suggerisce con ottima probabilità un disordine associato al glutine, anche se non sappiamo quale possa essere questo disordine: sicuramente non-IgE, giacché la celiachia è una risposta immune non-IgE. 
Un altro punto è se i soggetti con ipersensibilità al glutine (NCGS) potranno un giorno diventare celiaci. Non ci sono dati sufficienti in letteratura per affermare questo. I soggetti con ipersensibilità al glutine non presentano atrofia dei villi, nemmeno parziale. Non presentano iperplasia delle cripte. Non presentano alcuno degli indicatori di malattia celiaca. Possono avere un minimo aumento dei linfociti intraepiteliali (IEL), un certo grado d’infiammazione, ma non nello spettro della celiachia e non sappiamo se questo occorrerà mai. Per questo motivo è da ritenere che i soggetti positivi al DQ2 o DQ8 (o entrambi) abbiano una vulnerabilità a presentare un disordine associato al glutine, che potrà anche non verificarsi mai. Come può accadere che un soggetto negativo a DQ2 e DQ8 abbia anticorpi contro la gliadin-transglutamminasi, eseguendo test complessi come il Cyrex Array 3 (che misura la Wheat/Gluten Proteome Reactivity & Autoimmunity e che comprende: Wheat (grano) IgG, 
Wheat IgA, Wheat Germ (germe di grano) Agglutinin IgG, Wheat Germ Agglutinin IgA, Native + Deamidated Alpha-Gliadin-33-mer IgG, Native + Deamidated Alpha-Gliadin-33-mer IgA, Alpha-Gliadin-17-mer IgG, Alpha-Gliadin-17-mer IgA, Gamma-Gliadin-15-mer IgG, Gamma-Gliadin-15-mer IgA, Omega-Gliadin-17-mer IgG, Omega-Gliadin-17-mer IgA, 
Glutenin-21-mer IgG, 
Glutenin-21-mer IgA, 
Gluteomorphin+Prodynorphin IgG, 
Gluteomorphin+Prodynorphin IgA, Gliadin-Transglutaminase IgG, Gliadin-Transglutaminase IgA, 
Transglutaminase-2 IgG, Transglutaminase-2 IgA, Transglutaminase-3 IgG, 
Transglutaminase-3 IgA, 
Transglutaminase-6 IgG, Transglutaminase-6 IgA a un costo di circa 400€) e rientri quindi in quel 7 per cento di negativi a DQ2 e DQ8 che abbiamo già detto (celiaci gene-negativi).
A chi fare quindi il test genetico? La risposta più ragionevole è quando non si può eseguire un panel completo degli anticorpi o in chi è immunodepresso o in terapia steroidea, per cui è improbabile si ottengano risultati attendibili ricercando anticorpi IgG, IgA e IgM. I portatori del gene hanno elevate probabilità di essere suscettibili a un disordine glutine-correlato. Che si manifesti o no, questa vulnerabilità può rappresentare un problema e l’unica domanda da porsi è: quanto sarà grave? Inoltre, c’è una situazione nella quale il test genetico è di grande valore, ed è nei famigliari dei pazienti celiaci e di quelli con ipersensibilità al glutine, perché, se positivi, sono ad alto rischio di sviluppare un disordine riferito al glutine.
Allora, chi dovrebbe essere investigato per un disordine riferito al glutine? La risposta è: chiunque stia male, qualunque sia il tipo di malessere, dovrebbe essere testato per un disordine riferito al glutine, soprattutto quando le terapie che state praticando non danno risultato, sia si tratti di sinusite ricorrente nonostante gli antibiotici, o di spasmi muscolari al polpaccio, sia stiate curando un’epatite o un’emicrania, o un deficit di attenzione. Forse un alimento che è presente nella dieta di ogni giorno potrebbe contribuire all’infiammazione che è il motivo per cui non si ottengono i risultati desiderati. Per questo la risposta alla domanda è: chiunque non sia soddisfatto dei risultati ottenuti, indipendentemente dai disturbi di origine.
Non seguire questa pratica comporta ritardi nella diagnosi che sono consistenti: negli Stati Uniti si parla di undici anni8,9 dopo la comparsa del primo sintomo e la prima visita medica per una valutazione della situazione. Pensate a un paziente con emicrania, all’inizio si prova con qualche terapia, poi, se non funziona, dopo qualche mese si richiede una visita dal neurologo, lista di attesa, poi il neurologo raccomanda altri farmaci, chiede una Risonanza Magnetica che sarà negativa, ma cambia ancora farmaci, che magari risponderanno per una piccola parte, per cui altri controlli, magari riferimento a un centro specializzato per le cefalee, altri esami. Storia lunga. In uno studio eseguito alla Columbia University in New York, centro specializzato per la ricerca neurologica, il 5 per cento dei pazienti con causa nota del loro disordine neurologico aveva anticorpi anti-gliadina elevati, ma questi lo erano nel 57 per cento dei casi in cui la causa del disturbo neurologico non era stata chiarita. Una semplice dieta senza glutine avrebbe risolto i loro problemi.


Quali accertamenti eseguire allora nel sospetto di disturbi glutine-correlati?
Il test standard da eseguire alla ricerca dell’ipersensibilità al glutine sono gli anticorpi anti-gliadina. La gliadina è uno dei peptidi della farina di frumento maldigerita. In realtà quindi non è un test per il glutine, ma per la gliadina e quello che andiamo cercando è una ipersensibilità alla gliadina, uno dei peptidi del frumento. Ma se facciamo il test per uno solo dei peptidi che compongono il glutine, è possibile che manchiamo il bersaglio. Infatti, come abbiamo un solo tipo d’impronta digitale, noi abbiamo anche un’unica impronta immunitaria, per cui la risposta immune è differente da soggetto a soggetto. Se si esegue un test come quello che ho appena segnalato, che si rivolge a multipli peptidi delle proteine del glutine nel frumento, si osserveranno risposte molto diverse da soggetto a soggetto: alcuni reagiranno a un solo peptide, altri a un altro differente, altri a una gran parte. Perciò non è sufficiente eseguire un test che abbia come bersaglio solo la gliadina, si darebbero per normali troppi soggetti con ipersensibilità al glutine.
Quale altro test poi va eseguito, standard, per la malattia celiaca?  
Quello accettato di norma, è guardare agli anticorpi per le transglutaminasi (anticorpi IgA) e cioè quelli per la transglutaminasi 2. Ci sono nove differenti transglutaminasi e è la transglutaminasi 2 quella che si trova nell’intestino. È presente anche in altri organi, nel fegato, nel rene, nel cuore e nella milza. È peraltro la sola che si trova nei microvilli nell’intestino. Questo test è considerato il marker diagnostico per la malattia celiaca. Molti studi hanno dimostrato essere veramente sensibile e specifico in presenza di totale atrofia dei villi. Il problema è che i ricercatori usano pazienti celiaci in questi studi, e per essere definito celiaco devi avere un’atrofia totale dei villi. Non sono stati invece inclusi in questi studi, che dimostrano sensibilità e specificità vicina al 100 per cento, pazienti con atrofia parziale dei villi9. O iperplasia delle cripte. Altri studi, infatti, evidenziano che, in presenza di atrofia parziale dei villi o uno stadio istologico Marsh II, che corrisponde all’iperplasia delle cripte, ancora assenza di atrofia dei villi, il test delle transglutamminasi può essere accurato nel 27-33 per cento dei casi, il che significa che vi saranno falsi negativi in sette casi su dieci. Questo significa che il test delle transglutaminasi è positivo sicuramente solo in caso di malattia autoimmune avanzata.
E allora quali test fare nel sospetto di malattia celiaca? 
Vediamo: gli anticorpi anti-gliadina non differenziano fra un paziente con malattia celiaca e con ipersensibilità al glutine. Per esempio, nel Journal of Clinical Gastroenterology12 nel 2012, è stato evidenziato che i pazienti con malattia celiaca saranno positivi alle IgG anti-gliadina nell’81,2 per cento dei casi, otto su dieci.
D’altro canto, i pazienti con ipersensibilità al glutine (NCGS) lo saranno nel 56,4 per cento dei casi; in questo modo, con un test positivo, non sarà possibile differenziare. Quello che ne possiamo ricavare è che è un buon marker di un disordine riferibile al glutine, ma non ci aiuta nella diagnosi differenziale. Anche questo, peraltro è molto importante! Se invece risulta negativo significa che non è così probabile che il sistema immunitario reagisca alla gliadina. Per tornate alla metafora precedente, questa però è solo la Marina. Deve venire fuori l’Aviazione e questa è rappresentata dalle IgA, in questo modo è possibile ottenere una risposta differente. Per esempio, le IgA anti-gliadina sono un buon marker per la malattia celiaca in quanto risulteranno positive solo nel 7,7 per cento dei casi, meno di uno su dieci. in caso d’ipersensibilità al glutine.

Se invece siete celiaci, le IgA (anticorpi anti-gliadina) saranno positive nel 75 per cento dei casi, 7,5 volte su dieci, ed è improbabile si tratti d’ipersensibilità al glutine. Purtroppo, se le IgA fossero negative, non potete sapere cosa stia succedendo, trattandosi solo di un ramo dell’albero decisionale.


Un marcatore migliore per differenziare fra malattia celiaca e NCGS sono le gliadine deamidate. La molecola di gliadina deve passare dal lume dell’intestino, attraverso una mucosa permeabile, nella sottomucosa, dove il sistema immunitario crea la deamidazione e produce anticorpi contro questa molecola. Se avete anticorpi contro la gliadina deamidata, nell’1,3 per cento dei casi si tratta di NCGS (ipersensibilità al glutine), il che vuol dire in sostanza nessuno, ma, alla presenza di questi anticorpi, l’88,7 per cento dei casi sono affetti da malattia celiaca. Così è veramente un buon biomarker, non solo per differenziare fra NCGS e malattia celiaca, ma per fare diagnosi di malattia celiaca, anche se si tratta già di uno stadio avanzato, Marsh III, come risulta dall’articolo pubblicato su Journal of Clinical Gastroenterology.


La transglutaminasi [IgA-transglutaminasi] è positiva nella NGCS nello zero per cento dei casi, mentre è positiva nel 98,7 per cento dei casi di malattia celiaca; così è un ottimo marker, ma solo in caso di atrofia totale dei villi. Per questo motivo, se è negativa, non significa che non ci troviamo alla presenza di malattia celiaca, diagnosi ancora possibile perché ci si potrebbe trovare in situazioni di lesioni Marsh I o II che sono gli stadi precoci. Sembra un po’ confondente tutta questa storia, ma è quanto di meglio si possa dire, a questo punto delle conoscenze, utilizzando i test che sono disponibili in qualsiasi parte del mondo e non test più complicati come il Cyrex Array 3, citato in precedenza.
Per riassumere, nei disordini riferibili al glutine o nel sospetto di questa patologia, prima vanno eseguiti gli anticorpi anti-gliadina, non importa se IgA o IgG. Se positivi è un disordine riferibile al glutine. Si può differenziare fra malattia celiaca e ipersensibilità al glutine con gli anticorpi anti-gliadina deamidati. Con gli anticorpi anti-gliadina si può far altro: sono IgA? Siamo da qualche parte nello spettro della malattia celiaca (le IgA sono prodotte per proteggere le superfici epiteliali e sono queste che provocano l’atrofia dei villi, perché l’epitelio diventa infiammato e viene attaccato cominciando a deteriorarsi). Sono IgG? È un disordine riferibile al glutine, non si può dire quale, potrebbe essere malattia celiaca, ma anche no.
Se le transglutaminasi sono positive è malattia celiaca, ma ricordate che ci sono almeno sei cause di elevate transglutaminasi, anche se la malattia celiaca è prevalente.
Se è positiva la gliadina deamidata si tratta di malattia celiaca, in quanto la deamidazione della gliadina  è stata identificata solo nei meccanismi che generano la malattia celiaca.
Ci sono quindi tre test direttamente associati con la malattia celiaca vera e propria: sono i test classici, le transglutaminasi, le gliadine deamidate e le IgA anti-gliadina. Gli anticorpi IgG anti-gliadina indicano malattia celiaca o disordini associati al glutine. Questo è il meglio che possiamo fare con i test standard che possono essere eseguiti ovunque nel mondo.
C’è un’ultima cosa che possiamo fare se ci occupiamo di Medicina Funzionale, è domandarsi perché tutto ciò avvenga, perché una proteina non venga digerita come si deve non risultando così più immunogena; perché una mucosa intestinale, che dovrebbe funzionare da barriera riesca invece a lasciar passare peptidi o frammenti peptidici estranei all’organismo, mettendoli a contatto con il sistema immunitario.
Sono questi i veri problemi per spiegare la differenza fra la malattia celiaca dell’infante (l’unica vera), quella dell’adulto (perché una malattia genetica si esprime a scoppio ritardato?), l’ipersensibilità al glutine e tutte le reazioni avverse al glutine. Ne riparleremo.
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